Busto Arsizio – Quanto gli anni Sessanta siano stati fondamentali per le trasformazioni sociali ed economiche è un dato acquisito, potremmo oramai dire storico. In Italia rappresentano il decennio del boom economico, della scolarizzazione di massa, dei grandi cambiamenti culturali e di costume. Le innovazioni, la progettualità applicata a diversi settori della società hanno consentito di rivoluzionarne tutti gli ambiti. La ricchezza e la varietà di contenuti prodotti in quegli anni hanno fornito materia di sviluppo per quelli successivi e arrivando al presente, momento in cui molti degli aspetti che ne hanno caratterizzato la narrazione, sono tornati quasi prepotentemente alla ribalta. Tutto questo induce a una riflessione che non è esclusivamente riconducibile all’argomentazione dei corsi e ricorsi storici. Una certa crisi di idee e di energia costruttiva, addirittura in surplus in quegli anni, ci porta a tornare col pensiero a quel periodo della nostra Storia non fosse altro che per vedere quante risorse, quante iniziative, quanti ideali e quanta passione venissero investiti per immaginare e progettare il futuro.

Un passato sempre presente
Tantissimi aspetti della cultura del nostro presente affondano le loro radici nelle grandi trasformazioni avvenute allora. Anche dal punto di vista artistico accade piuttosto frequentemente che, analizzando fenomeni di attualità, ci si trovi di fronte a primogeniture, reali o ideali, collocabili in quello straordinario decennio. Probabilmente, senza esserne troppo consapevoli, ancora viviamo gli effetti della “grande svolta” e riflettere sul nostro passato recente e sulla sua complessità può essere di grande aiuto per migliorare la comprensione di noi stessi, del nostro tempo e del viaggio che abbiamo intrapreso.

La fantasia al potere
Qualcuno, più di uno, ci ha creduto ed era veramente convinto che di lì a poco la fantasia avrebbe governato il mondo. Una fantasia, allegra colorata e pacifica. Ovviamente sbagliava. Ciononostante i mutamenti a quel tempo in corso all’interno della società potevano veramente lasciar sperare alle anime più semplici che l’utopia si sarebbe prima o poi realizzata. Negli anni Sessanta, non solo i ruoli convenzionali subivano critiche radicali e profonde revisioni, ma si cercava anche di fare i conti con il passato e di prefigurare qualcosa di assolutamente nuovo. Trasformazioni epocali, con una accelerazione senza precedenti, imponevano la necessità di una ricodificazione dell’etica, del linguaggio, dei sentimenti, dei rapporti gerarchici, della sessualità e, in definitiva, della cultura intesa come luogo in cui le conoscenze e le prassi più disparate coabitano beneficiando della stessa dignità. La rivoluzione culturale rimescolava le carte, agitava le placide acque del sapere e faceva emergere linguaggi e strumenti espressivi sotterranei, emarginati e plebei, sui quali avevano costruito tutto il loro immaginario i giovani, per la prima volta nella storia dell’umanità, protagonisti della scena politica. Le innumerevoli citazioni sugli anni Sessanta li hanno consacrati nella memoria collettiva e cristallizzati in una sorta di immobilità temporale, accostandoli per sempre a sostantivi come spensieratezza e giovinezza, oltre che ad un’ottica avveniristica ancora oggi convincente. Una visione molto idealizzata dalla quale ci si scosterà solo negli ultimi anni del decennio, quando gli stessi giovani che avevano mobilitato le industrie in direzione di un mercato a loro destinato, si solleveranno ribellandosi proprio al sistema consumistico reo di generare guerre e ingiustizie. Erano gli anni in cui si sognava la pace per tutti e per sempre.

M. Giovanna Massironi