Qualcuno la chiama “Pelle”, altri  “La fata porpora” ma, dietro ad entrambi gli pseudonimi c’è solo lei,  Stefania Pellegatta, che ha scelto di assumere due differenti firme dedicando la prima alla produzione pittorica e la seconda alla linea decorativa. Le su opere sono caratterizzate da una forte carica  materica, spessori in cui affonda la spatola, strumento da lei prediletto, con la quale incide e modella  le campiture di fibra ben sostenuta. Fin dai tempi dell’accademia, ancor prima del pennello l’uso della spatola è stato il mezzo ideale per esprimere, con risoluta soddisfazione,  l’indomabile carica creativa del suo racconto pittorico. “Ho iniziato il mio percorso artistico dedicandomi al genere figurativo – precisa Stefania – senza mai trascurare la decorazione che considero un abbellimento dell’opera. Lo stesso colpo di spatola è ornamento, soprattutto nei miei lavori. Gli strati, gli spessori, sono volumi, movimento,  parlano, ti chiamano… Per questo, quando capita che durante le mie mostre, qualcuno tocca un mio quadro, sono contenta. Significa che è scattata la molla di quel meccanismo di richiamo, di attrazione e di invito alla conoscenza. Il quadro deve essere toccato, la sensazione che si avverte è “magica”.  La tua produzione è in evoluzione continua. La bellezza creativa dei tuoi lavori e l’incessante ricerca dei materiali sono evidenti. Prima i tessuti poi le resine, il cemento e ultimamente le nuove sperimentazioni. “Da  circa sei anni uso le resine, un materiale affascinante con il quale ottengo degli effetti sorprendenti- continua “Pelle” –  Inglobo oggetti, legni portati dal mare, immagini abbandonati o comunque scartati che trovo in luoghi diversi ma che in comune hanno la destinazione finale tra i rifiuti. Ho lavorato su meravigliosi pezzi arrugginiti, come frammenti di scatole o barattoli in latta. Tutte forme del “presente” che raccontano un misterioso passato, modellati dal tempo, dalle intemperie e dalla natura in modo straordinario, impensabile per noi umani. Veri capolavori!”. Li raccolgo e offro loro una seconda possibilità. Una nuova vita all’interno dei miei quadri.  Della ruggine mi affascinata  il colore, il micro spessore, la  fragile stratificazione che  fermo e “salvo” inglobando l’oggetto nella resina dove inizia la famosa seconda vita… Mi piacerebbe poter ascoltare cosa raccontano questi oggetti, la loro storia, da dove arrivano..  Un altro materiale che lavoro con soddisfazione è il cemento; recentemente sto sperimentando un particolare tipo di calcestruzzo, che mi consente di plasmare sempre con l’obiettivo finale di immortalare il tempo o custodirne le impronte”. Il grande amore per il maestro Alberto Burri  non può che attirarla e provocarla nei reticoli crepati, (i famosi “Cretti” ndr), superfici corrose dal tempo dalle quali sembra affiorare una sorta di “sofferenza” della materia.  “Mi piace la decadenza,  ha un suo fascino. Sono attirate dalle cose antiche, consumate, vissute…  Ho una forte attrazione per alcuni elementi decorativi come ad esempio i bassorilievi  che vedo su alcuni palazzi, purtroppo sempre posizionati in angoli bui o ad altezze scomode. Mi piace scoprirli e riprodurli, questa volta con matite e acquerelli, per farli tornare a vivere e dar loro maggior visibilità”. Hai uno stile inconfondibile: ricco,barocco. Pare che gli artisti ad un certo punto della vita vogliano tutti trovare l’essenza. Tendono a togliere forme, colore. La sintesi insomma…. Sacrificare la materia quel giorno sarà una sofferenza per te? “In realtà devo dire che questa esigenza di “pulire”, togliere e rimpicciolire, mi sta accadendo proprio con un lavoro al quale mi sto dedicando. Vecchie ante di mobili cinesi, naturalmente corrose, tarlate, trovate da un rigattiere, sulle quali dipingo piccoli quadri. Un discorso un po’ più essenziale rispetto a prima .Quindi posso dire che sto cercando anch’io la sintesi ma….. quando vedo portali gotici,  decorazioni barocche ricche d’oro e di forme… beh… mi ribolle il sangue… Mi piace troppo!”.