Chiasso, 6 gennaio 1924 – Resta sempre attuale la proposta di Arbasino di fare una gita a Chiasso e se ormai non si trovano più la stanga della dogana e il contrabbandiere che vada a comprare le Muratti col filtro e i testi di Wittgenstein e Foster, si può andare al m.a.x. museo, un nitido edificio sede di esposizioni di approfondita e sempre allettante ricerca. Come quella in corso (fino al 7 aprile) a cura di Luigi Sansone e Nicoletta Ossanna Cavadini, che esamina, rivelandola ai più, l’amicizia fervida di sviluppi artistici tra Fortunato Depero e Gilbert Clavel. (nella foto, Fortunato Depero e Gilbert Clavel)

Sul primo si sa tutto, o quasi; su Clavel molto meno: spirito raffinato e dai vasti interessi, era “scrittore, professore di arte egizia e amante del verso e della metafisica”. Così lo ha descritto Depero che da quest’uomo geniale e irriverente trovò sprone per fissare le direttrici fondamentali della sua arte, certo poi variata, ma sempre entro codesto solco profondo.

Occorre andare al 1917, anno di guerra, ma sull’isola di Capri non poi tanto. Depero vi arrivò con la moglie Rosetta su invito appunto di Clavel che stava a villa Saida in attesa della conclusione dei lavori alla torre del Fornillo a Positano destinata a diventare la sua casa. Lo aveva conosciuto a Roma quando era intento allo scenario e ai costumi per Le chant du Rossignol di Stravinkij, impresa non andata a buon fine, ma comunque vantaggiosa perché gli permise di conoscere l’ambiente di avanguardia internazionale ruotante intorno ai Ballets Russes e al suo potente impresario Sergej Djagilev. Entro questo clima febbrile ed eccentrico avvenne l’incontro con Clavel, “un signore gobbo, col naso rettilineo come uno squadretto, con denti d’oro e scarpette femminili, dalle risate vitree e nasali”.

Tra i due fu subito “comprensione fraterna e profonda” e appunto l’invito a Capri dove Depero, con la sua energia fantasiosa, che del resto non mancava nemmeno a Clavel, lavorò febbrilmente per illustrare a carboncino la novella di quest’ultimo. Un istituto di suicidi, per ritrarlo in disegni o quadri coloratissimi ambientati sui gradini della Funicolare o al Fornillo e anche, attraverso fitte chiacchierate e discussioni, per dare concretezza ai Balli Plastici vagheggiati da Depero “milionario di fede, di entusiasmo e di fantasia” e sostenuti da Clavel “abbastanza ricco di mezzi (nasceva in una facoltosa famiglia svizzera) e di mente” che già fantasticava di suo su una “novella che si svolge in un’isola coperta da una flora irreale di cristallo dai colori incantevoli e cangianti”. (nella foto, Ritratto di Gilbert Clavel)

Come poteva non esserci intesa? Proprio su questa fa luce la mostra di Chiasso presentandoci non solo opportuni e significativi lavori di Depero, in buona parte provenienti dal Mart di Rovereto, ma anche lettere, immagini e documenti giunti da Basilea dove appunto sono conservate le carte di Clavel: un materiale ampio e valido per documentare la vicinanza di intenti fra i due proseguita anche dopo l’esperienza dei Balli Plastici, fino alla scomparsa nel 1927 di Clavel.

Balli che al contrario del Chant du Rossignol furono rappresentati il 16 aprile 1918 a Roma, città dove in effetti si era svolta la loro preparazione, alla presenza di un pubblico sferzantemente descritto da F.T. Marinetti: “russe agitate, zazzere di pittori, occhiali passatisti di professori, futuristi impazienti, veleni critici in bottiglia con la relativa testa da morto sopra”. Anche lui però non era da meno dando il braccio alla Marchesa Casati che nel mignolo “reggeva uno strano anello che bilancia sospeso a tre catenelle un microscopico incensiere con un granello di incenso fumante”. (nella foto, Illustrazione di “Un istituto per suicidi”)

Su musiche di Malipiero, Bártok, Casella e del suo allievo Gerald Tyrwhitt e con le coreografie di Clavel “danzavano” le marionette di Depero, fantocci a grandezza d’uomo di legno colorato dalle forme essenziali e fantastiche e dalle tinte sgargianti e piatte che sovvertivano del tutto l’idea del balletto, aprendo con la loro meccanizzata rigidezza ad un mondo antinaturalistico popolato solo di automi stilizzati: “la selvaggia gigantesca, topi bianchi e gatto nero, uomini baffuti” che si muovevano e gesticolavano in un universo fantastico tra “danze ubriache” e “pioggia di sigarette”. (nella foto, Cartellone per i “Balli Plastci” al Teatrodei Piccoli)

Pressochè tutto l’armamentario predisposto da Depero è andato perduto e solo alcune illuminanti tracce sono in mostra, compreso il cartellone che annunciava la serata al Teatro dei Piccoli. Dei Balli Plastici sono rimaste però le ragioni, le invenzioni di una fertile giovinezza (Depero aveva allora 25 anni) protese al futuro e sostenute dalla vicinanza intellettuale di Gilbert Clavel in quella calda estate del 1917 sull’isola di Capri.

Giuseppe Pacciarotti