E. Cedraschi, Gruppo equestreE. Cedraschi, Gruppo equestre

Ettore Cedraschi è uno dei grandi protagonisti della scena artistica italiana del Novecento. L'attività artistica di Cedraschi, oltre a essere stata lunga, si è caratterizzata per la grande eterogeneità di temi e di tecniche nonché per la straordinaria entità delle sculture che hanno rivelato dello scultore, originario di Viggiù, delle capacità e un'energia non comune. Le sculture paiono condividere, e non superficialmente, la ricerca formare della tradizione e la resa naturalistica dei soggetti.
Così si definiva lo stesso scultore nel 1969: "Sono un figurativo nel senso più completo per l'amore e il rispetto della figura umana intesa nella interiore ricerca dei valori morali, spirituali ed artistici. Conduco vita semplice dedita soprattutto al mio lavoro in quanto mi considero un semplice operaio che cerca di fare dell'Arte".
Basandosi su questo indirizzo, la sua vasta produzione si è sempre caratterizzata da un tratteggio classico, lineare e dalla compostezza delle forme, in qualsiasi ambito si trovasse.

Opere religiose – 
Negli anni 1958-70 si colloca la sua attività scultorea presso la Veneranda fabbrica del Duomo di Milano, per la quale ha eseguito ben sette statue in marmo di Candoglia: quattro per l'altare di S. Giovanni Bono e, per l'esterno, il S. Nicola di Flue sul fianco destro, il S. Riccardo Pampuri (santo medico e religioso beatificato e canonizzato negli anni Ottanta) sul transetto nord, il S. Camillo de Lellis per una guglia. In

E. Cedraschi, Sacro CuoreE. Cedraschi, Sacro Cuore

quest'ultima lo scultore ha posto i tratti caratteristici del santo nella mano benedicente, nel volto rivolto verso il basso, quasi a cercare per strada le persone da soccorrere, nella croce sul petto, identificativa dei Camilliani. Per la chiesa di Sassari realizza poi una statua di notevoli dimensioni del Cuore di Gesù. Collocata sopra l'altare, la statua diventa ancora più immensa e trionfante, il suo abbraccio ancora più ampio.

Intensa ricerca interiore – Nell'opera I Moribondi vediamo due corpi stremati, scarni. Uno è sdraiato a terra, quasi esanime. L'altro, invece, si lascia cadere con andamento sinuoso, sorreggendosi ad un bastone e ad una ruota dentata e decadente. Nella posa rimanda alla mente una Deposizione. È una plastica dalle linee taglienti, spigolose, con una carica quasi ascensionale, ma drammaticamente tragica.
Nel Gruppo equestre invece è tutto movimento e il tumultuoso ritmo prolunga all'infinito l'azione. I cavalieri avanzano con frenesia della battaglia in corso, i cavalli sembrano prendere vita dalla materia. La luce si infrange sui modellati in un gioco che imita i moti dell'animo umano. Come nella Battaglia di Anghiari, lo scontro tra i cavalieri produce un motivo grottesco e crudele nelle fisionomie e negli atteggiamenti degli armigeri e degli animali stessi.
In Pensieri tutto è celato dietro lo sguardo smarrito della giovane che si nasconde il viso con le mani. Come se facesse parte di un Compianto, la figura allungata, smarrita nei suoi pensieri, è incurante di ciò che potrebbe accaderle intorno. L'immagine è un profondo invito al silenzio e all'introspezione.