Milano – E’ di qualche giorno fa la notizia della scomparsa del poliedrico artista Paolo Gioli (1942-2022), riservato nell’indole ma intrepido nella ricerca, riconosciuto solo tardivamente dal mondo dell’arte. Oggi le sue opere sono esposte in istituzioni internazionali come il MoMA di New York e il Centre Pompidou di Parigi.

Sperimentatore di nuove tecniche fotografiche analogiche, artista e cineasta avanguardista,  Gioli utilizza media molto diversi tra loro, esplorando nuovi linguaggi e rifiutando lo schema che i media stessi impongono.
L’artista scardina le convenzioni e attua una fusione tra pittura, pellicola e movimento.

Le sue opere danno vita a un immaginario complesso, dove i temi cardine, corpi, volti, genitali e natura, si caricano di un grande potere espressivo nella loro stratificazione. Plasma la materia come un alchimista ai primordi dell’era fotografica e utilizza metodi plurimi: dal foro stenopeico, che ricorda le prime camere oscure, al fotofinish, dalla stampa a contatto ai trasferimenti da un supporto all’altro.
Inventa “macchine”, ibridazioni tecniche pensate come farebbe un pioniere della fotografia: lo schermo multiplo con pannelli lignei scorrevoli su cui proietta le immagini, le cinecamere stenopeiche, che dimostrano come potremmo vedere con occhi privi di cristallino. Nel dispositivo fotografico, da lui costruito artigianalmente, smonta l’otturatore meccanico, mentre è proprio la sua mano a diventare otturatore. La manipolazione dell’immagine, tra spazio e tempo, avviene nella fase di ideazione, dimostrando che la sua ricerca non mira al bello, ma piuttosto al vero. Il risultato è fuori da ogni visione convenzionale. Infatti Gioli si definisce un “auto-confinato”, un artista fuori dalla società, fuori dagli schemi.

Lavora con l’immensamente grande (pellicole Polaroid di grande formato) e l’infinitamente piccolo (il bottone stenopeico), tra il macrocosmo, contenente in sé ogni parte, e il microcosmo che contiene in piccolo il tutto. Come un filosofo alla ricerca di risposte ai temi esistenziali, il suo atto creativo nasce dall’esigenza di reagire alla morte.

L’intera opera di Gioli ripercorre la dialettica tra nascita e morte, vivendo un forte impulso creativo nella prima fase di ideazione, per poi subire, nella fase finale, un momento di stasi quasi assoluta. Gioli è un artista-archeologo che esplora il mondo, raccogliendo le tracce del passaggio dell’uomo, al fine di comprendere meglio il conflitto primordiale tra Eros, il principio del piacere, e Thanatos, la pulsione della morte.

Che cos’è in fondo l’arte se non una “vera e profonda” reazione del pensiero umano al concetto di sparizione?

Marzia Rizzo