La bambina malata di Jean François MilletLa bambina malata di Jean
Francois Millet

Ci sono notizie che più di altre restano oscure e picchiano dentro. E picchiando dentro, senti l'abbraccio di vicinanza più umano e lo sgomento che resta, per forze di cose, ammutolito.
"Può capitare a ognuno di noi, perché non ci si ferma mai". Non sapendo che cosa dire, non sapendo che cosa domandare, resta la tacita constatazione del limite, della frattura umana, del black-out possibile, eppure privo – totalmente – di colpevolezza. Nessuno può dimenticare un figlio. Ma c'è un tempo che, fragile e insieme cattivo, maligno, ruba ogni cosa, ruba l'umanità agli spazi, alle giornate, alle persone che si vogliono bene. "Lui "padre esemplare", non si fermava mai perché si preoccupava di me, della mia gravidanza e della piccola Elena. Tutto doveva essere perfetto e io non mi dovevo preoccupare".

"Può capitare a ognuno di noi, perché non ci si ferma mai". Solo chi ha collaborato a dare la vita è in grado di cercare il senso alla fatica e al sacrificio che segnano in modo irrimediabile il destino di ogni uomo. 
E il precipitare di questa scure non permette risposta o consolazione. Ma c'è un dolore affermato e reso conoscibile, forse più vicino e familiare, come nella madre dalle braccia aperte della Pietà del Carracci, nel ritratto di Valentine Godé-Darel di Ferdinand Hodler, dove la malattia è pure una crisi di significato, o nel Pio Albergo Trivulzio di Angelo Morbelli, dove la morte rischia di passare inosservata e di non essere vista.
Non c'è vita senza dolore, ma nella specie umana esso assume significati e implicazioni indissociabili dal significato dell'esistere. Solo la compagnia umana è forse capace di rompere il silenzio e l'isolamento, di porre una tregua a quella domanda che picchia dentro, a restituire umanità a quel tempo che rischia di farci smarrire.