Abbazia, ingresso dell'Abbazia di Chiaravalle a MilanoAbbazia, ingresso dell'Abbazia
di Chiaravalle a Milano

Dalla periferia in poi – Si può incominciare questo viaggio appena là dove termina l'impoetica periferia di Milano: sui campi ancora umidi, ma prossimi a coprirsi di verde, si staglia nitida la torre nolare di Chiaravalle, l'abbazia cistercense che San Bernardo fondò nel 1135. Probabile che a ricordo di questo evento due secoli dopo, con l'apporto determinante dei Visconti, venisse avviata l'impegnativa decorazione interna, che si svolse in due tempi. Gli affreschi della zona più alta del tiburio con la Teoria di Santi spettarono al cosiddetto Primo Maestro di Chiaravalle, palesemente influenzato dal Maestro della tomba Fissiraga, l'autore degli affreschi nel battistero di San Giovanni a Varese, ma coinvolto ormai in gotiche raffinatezze. Le pitture della parte inferiore, di gran lunga più intense per le "attitudini molto proprie e bellissime", citando Vasari, toccarono invece a Stefano fiorentino, artista vicino a Giotto, anche se di modi addolciti, segno della sua riflessione su altri maestri come Simone Martini visto alla Basilica Inferiore di Assisi.

Una storia, tante rappresentazioni artistiche – Questi affreschi illustrano, derivando dalla Legenda Aurea, le Storie della Vergine "post Resurrectionem", un

Affreschi di S. fiorentinoAffreschi di S. fiorentino

programma volto alla devozione di Maria mediatrice di tutte le grazie, come la volle intendere nei Sermones San Bernardo. Di Stefano fiorentino "una delle personalità di maggior spicco al seguito di Giotto stando ai testi antichi, e più intriganti e sfuggenti per la perdita di gran parte delle sue opere" ha saputo stendere un perentorio profilo nella lussuosa monografia edita da Electa per Intesa Sanpaolo, Mina Gregori che illumina sugli interventi lasciati dall'artista ad Assisi, al Camposanto di Pisa (un'Assunta perduta), a Firenze, Pistoia e Roma. Sempre nello stesso volume, edito a conclusione degli annosi restauri condotti dal laboratorio Nicola in Aramengo, Sandrina Bandera si é presa l'impegno di illustrare l'importante ciclo di Chiaravalle rilevandone le sottili desunzioni e la raffinatezza pittorica, e soffermandosi soprattutto sulla scena solenne della Glorificazione della Vergine dove più sono evidenti le trasparenze e le delicatezze proposte da Stefano.

Affreschi di S. fiorentinoAffreschi di S. fiorentino

Queste qualità si attenuano in altre storie, ad esempio I Funerali della Vergine, dove all'elegia di Stefano, probabilmente già tornato in Toscana, si sovrappone un'esecuzione meno brillante dovuta ai collaboratori. Questo ciclo così innovativo, al pari degli interventi di Giotto a Milano, intorno al 1335, e di altri maestri addestratisi in Toscana, diventò pane e companatico lungo tutto il Trecento per i pittori di Lombardia: valgano come esempio gli affreschi a noi vicini dell'oratorio dei santi Ambrogio e Caterina a Solaro e di quello visconteo ad Albizzate.

Da Chiaravalle a Mantova il tragitto é lungo e un po' complicato, ma vale la pena di arrivare in codesta città carica di storia e di monumenti per ammirare la copiosa scelta di arazzi qui riuniti a documentare l'impegno dei Gonzaga, soprattutto nella prima metà del Cinquecento, per abbellire con queste mirabolanti preziosità le sale dei loro palazzi. Una cinquantina di arazzi, non pochi di dimensioni gigantesche, sono infatti esposti in tre sedi prestigiose di Mantova: in palazzo Ducale si può

Arazzi GonzagaArazzi Gonzaga

ammirare la serie degli Atti degli Apostoli, realizzata Bruxelles su disegni di Raffaello; nel Museo Diocesano, autentica sorpresa per la dovizia delle opere d'arte in esso contenute, i sei arazzi commissionati alla fine del Cinquecento da frate Francesco Gonzaga ad una manifattura di Parigi, dove era nunzio apostolico. La sequenza più ampia e varia é tuttavia riunita nelle Fruttiere di Palazzo Te, a partire dalla preziosissima Annunciazione, forse su cartone del Mantegna, e dal paradisiaco giardino senza profondità e tutto brulicante di fiori ed animali pregiati del Millefiori araldico fino alle Storie di Mosé, ispirate da Giulio Romano, ed alle movimentate scene di Alessandro Magno, di gran foga manieristica.

La bella visione dei pendolari – Non é un discorso facile quello degli arazzi e della loro manifattura, ma chi ha organizzato la rassegna é venuto incontro ai visitatori ripubblicando da Skira il fondamentale studio (1996) di Guy Delmarcel & Clifford M. Brown appunto su Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento. Sempre Skira ha pubblicato per l'occasione una guida dove si trova tutto per capire. Al visitatore che dalle nostre terre é giunto fin a Mantova una raccomandazione: guardi a Palazzo Te l'arazzo rappresentante La Danza della serie I giochi dei putti (ora di proprietà Marzotto). Vi scorgerà sulla destra della carpinata ripresa in ardita prospettiva Villa Simonetta, proprio quella che intravvedono ogni mattina i pendolari delle Varesine poco prima di scendere dal treno, perennemente in ritardo, a Porta Garibaldi.