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Nel suo noto saggio del 1974 intitolato "Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l'età postmoderna" Renato Barilli introduceva il capitolo dedicato alle "ricerche di comportamento" nate verso la fine degli anni Sessanta con una distinzione terminologica che incisivamente inquadrava le problematiche poste in gioco dai nuovi indirizzi dell'arte di quel periodo. Parlando di ricerche come la Body Art o la Land Art, l'aggettivo "estetiche" doveva sostituirsi ad "artistiche", dato che l'aspetto "tecnico-costruttivo", quando presente, era marginale rispetto a quello dell'aisthéin, cioè del sentire, dello "sviluppare la rete delle proprie facoltà sensoriali", che portava con sé una diminuzione della quasi "sacrale" – ma anche rassicurante – distanza esistente tra chi produce e chi fruisce l'opera e insieme una dimensione di "mondanità", cioè di immersione in uno spazio e tempo reali e vissuti. Nel fermento di ricerche della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, che aboliscono i canonici confini tra le diverse discipline, instaurano un più diretto rapporto con lo spettatore e criticano il sistema dell'arte e il tradizionale ruolo assegnato a musei e gallerie, muove i primi passi Marina Abramović con performances ormai entrate nella storia della Body Art. E' il corpo dell'artista a diventare luogo di significazione e di riflessione sui limiti fisici e

8 Copia di MarinaAbramovic_TheAbramovicMethodMarina Abramovic

mentali dell'essere umano, sui suoi istinti primari, ma soprattutto sulla sua capacità di rapporto con l'altro e spesso con le forze primordiali della natura e le energie sottese ai suoi elementi.

Oltre all'evidente vicinanza con le correnti più sperimentali del teatro e della danza contemporanei, la Body Art affonda infatti le sue radici in tempi antichissimi, come ha sottolineato Gillo Dorfles "in territori ancestrali dove riti e miti hanno la loro prima origine, la loro matrice". Molte opere di Marina Abramović documentate tramite video al PAC, tra cui Nude with Skeleton (2002-2005), Cleaning the Mirror (1995) e Stromboli (2002), rispecchiano rituali senza tempo e presenti in tutte le culture come quello della purificazione e rigenerazione e temi universali come il dolore e la morte, secondo una visione che, con riferimenti a correnti di pensiero e pratiche di riflessione orientali, annulla la dicotomia tra corpo e spirito insita nella nostra cultura. Tra le opere presentate in mostra, Nightsea Crossing (1981-1987), performance realizzata con l'artista tedesco Ulay, assume un significato particolare come antecedente di The Artist is Present, lavoro messo in scena al MoMA di New York nel 2010 che ha segnato profondamente il suo modo di lavorare e di rapportarsi con il pubblico. Se nel corso della mostra americana, che riproponeva le sue opere storiche interpretate da diversi attori, Abramović ha guardato in silenzio chiunque si sedesse di fronte a lei nel corso delle ore di apertura del museo, nell'installazione milanese la prospettiva si è ribaltata e il pubblico è invitato in prima persona a essere attore della performance, che vuole offrire, come ha spiegato l'artista, l'opportunità di "sperimentare e riflettere sulla vacuità, il tempo, lo spazio, la luminosità e il vuoto" in un periodo storico difficile in cui "il tempo ha sempre più valore" perché sempre più contratto dai ritmi frenetici della vita contemporanea.

Marina Abramović. The Abramović Method
Dal 21 marzo al 10 giugno 2012
A cura di Diego Sileo ed Eugenio Viola
Milano, PAC
Orari: lunedì: 14.30 – 19.30; da martedì a domenica: 9.30 – 19.30; giovedì: 9.30 – 22.30. Il servizio di biglietteria termina un'ora prima della chiusura