Ci inoltriamo lungo una mulattiera poco tracciata, in una zona non visitabile del Parco Archeologico. Alla ricerca della Rosa Camuna. Arrivati alla cima della Rupe ci guardiamo intorno: il paesaggio è davvero incredibile. Parecchie centinaia di incisioni ci circondano, disseminate sulle lastre di arenaria levigate dai ghiacci pleistocenici. Sembra che vogliano parlare con noi. Striature, escavazioni, dorsi, arrotondamenti, ondulazioni della roccia, intarsiate con i segni della spiritualità di tremila anni fa. Da qui si sente veramente vibrare ciò che Storia ancora non era. La scrittura non si era formata pienamente ma già era evidente il grande bisogno di comunicare di questa gente.

I Camuni erano un popolo dell’Italia antica fra i massimi produttori di arte rupestre in Europa. Il loro nome è legato alle celebri Incisioni ritrovate in Val Camonica, che costituiscono la principale testimonianza culturale di questa civiltà.

Popolazione di origine oscura, insediata in una regione già segnata da una millenaria tradizione culturale risalente fin al Neolitico, i Camuni sono ricordati dalle fonti storiografiche classiche soltanto a partire dal I secolo a.C., anche se le incisioni furono realizzate lungo un arco di tempo complessivo di ottomila anni. Intorno all’anno 15 a.C., i Camuni vennero sottomessi a Roma e inseriti progressivamente nelle strutture politiche e sociali dell’Impero romano. Pur conservando margini di autogoverno, fin dalla seconda metà del I secolo, ottennero la cittadinanza romana, subendo infine, come tutti i popoli della Gallia Cisalpina, un rapido processo di latinizzazione sia linguistica che culturale e religiosa.

La tradizione petroglifica però non si esaurì repentinamente: sono state identificate incisioni, anche se in numero assai ridotto, di epoca romana, medievale e perfino contemporanea, fino al XIX secolo.

Le incisioni rupestri della Val Camonica costituiscono una delle più ampie collezioni di petroglifi preistorici del mondo. Sono state il primo Patrimonio dell’Umanità riconosciuto dell’UNESCO in Italia, nel 1979. All’epoca erano state censite oltre 140.000 figure, ma nuove ininterrotte scoperte hanno progressivamente aumentato il numero complessivo delle opere catalogate, fino a duecentomila.

Non si tratta in realtà di grafiti poiché la maggior parte delle incisioni è stata realizzata con la tecnica della martellina. Le figure si presentano spesso in relazione logica tra loro, a illustrazione di un rito religioso, di una scena di caccia o di lotta. Tale impostazione spiega lo schematismo delle immagini, ognuna delle quali è, di fatto, un ideogramma che raffigura quindi non tanto l’oggetto reale, ma la sua “idea”. La loro funzione è riconducibile perciò a riti celebrativi, commemorativi, iniziatici e propiziatori, probabilmente in ambito religioso, o per occasioni particolari, quasi certamente ricorrenti.

Forse non potremo più ascoltare il misterioso silenzio di questa vallata preistorica, non sapremo mai realmente cosa pensavano, quali emozioni provavano quegli uomini, quelle donne, i loro bambini. Il passato senza scrittura è perduto ma rimane questa meraviglia: un universo simbolico, magico, famigliare, così vicino a noi, una specie di sogno diurno. Gli artisti qui hanno descritto cacce, riti, divinità proprio come ora li vediamo noi. Le immagini impresse nei solchi sono intense, profonde, potenti ma il significato di questa forma artistica, purtroppo, non sarà mai compreso.

Seminarono qui, incise attraverso le ombre della pietra scavata, come solo un artista sa fare, le loro preghiere alla Natura, domande insaziabili e desideri quotidiani, emozioni imperiture, lasciandole a noi attraverso gli abissi del tempo, prima di imparare a scrivere.

Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, Capo di Ponte, Brescia, Domenica  20 marzo 2016.

Il viaggiator curioso