Novara – Alla incessante serie di esposizioni dedicate alla pittura dell’Ottocento in ogni dove d’Italia si è accodata da qualche giorno, e fino al 7 aprile del prossimo anno, anche quella di Novara che nelle sale del suo Castello Visconteo-Sforzesco squaderna la luminosa vicenda degli Italiens à Paris. Così aveva nominato alcuni artisti suoi amici il critico loro sostenitore Diego Martelli che ora sembra guardare compiaciuto la rassegna (a cura di Elisabetta Chiodini) dal bel ritratto fattogli da Federico Zandomeneghi nel 1879.

Sono 87 i dipinti presenti tra olii e pastelli, concessi da collezionisti privati o da gallerie specializzate, quasi tutti belli, alcuni bellissimi: tutti insieme concorrono a illustrare gli stimolanti prestiti, ma anche i legami con la cultura d’origine, degli artisti che, attratti dal fervere della Parigi moderna, vi andarono per esser partecipi di codesto gagliardo rinnovamento e, per l’occasione, allargare il loro mercato. Furono bravi ad inserirsi nell’ambiente tanto da confrontarsi senza complessi con gli artisti emergenti della città, facendosi apprezzare e fin diventando loro amici.

Quando si era al liceo il cenno, rapido, agli Italiens si limitava ai nomi di De Nittis, di Boldini sistemati anche ad avamposto del titolo della mostra novarese, e Zandomeneghi, qui invece refusé; ora, grazie al puntuale saggio di Paul Nicholls (Gli italiani e il mercato di Parigi) si viene invece a conoscenza di quanti e quali fossero gli artisti italiani presenti con loro opere ai Salons o alle cinque Esposizioni Universali della seconda metà dell’Ottocento: davvero un gran via-vai, come documenta l’elenco di ben quattro pagine del catalogo, e con inaspettate sorprese. Taluni compaiono una volta soltanto e con un’opera solo come Nomellini o Telemaco Signorini; altri invece sempre, o quasi, presenti, soprattutto al Salon. Uno, Nino Costa, anche tra i Refusés del 1863, insieme al Déjourner sur l’herbe di Manet ritenuto troppo scandaloso per il Salon ufficiale.

Pittore fra i più costanti ai Salons fu Alberto Pasini, del resto parigino per assidua residenza: anche nella Ville Lumière furono molto apprezzate e richieste le sue vedute cariche di evocativa suggestione dei paesi d’Oriente visitati al seguito dell’ambasciatore Burrée: in mostra lo documenta l’affollato Mercato a Costantinopoli luminoso nell’atmosfera e ben studiato nell’impiego dei colori.

Altrettanto piacevano ai collezionisti di Francia i pittori specialisti nell’illustrare il folklore colorato e festoso dei paesi italiani: fra questi l’umbro Alceste Campriani, invero presente solo una volta al Salon, ma in proficuo contatto con il mercante Adolphe Goupil, e Francesco Paolo Michetti che a Novara si deve apprezzare per due tele di grande bellezza: La processione del Corpus Domini a Chieti, filtrata in luminosissimo pulviscolo, e la Mattinata piena di luce e di vita, entrambe destinate al palazzo napoletano in piazza Martiri dove teneva salotto l’influente contessa de La Feld.

Girando di sala in sala vengono incontro altri artisti partecipi all’appuntamento con la Ville Lumière ed è un piacere fermarsi davanti alle non poche tele di Antonio Mancini che dalla città vesuviana, qui allievo di Domenico Morelli e, soprattutto, amico di Vincenzo Gemito, portò a Parigi, dove soggiornò più volte, e anche a Londra, a quei dì altra capitale dell’arte, l’intenso verismo dei suoi scugnizzi (nella foto, Antonio Mancini, Suonatore di chitarra) e delle sue orfanelle esaltato dallo straordinario valore espressivo della stesura pittorica e del colore. E poi Vittorio Corcos, anch’egli al servizio del potentissimo Goupil: all’artista livornese bastava essere nel giro di questa Maison e Salons o altre importanti rassegne potevano passare proprio in secondo piano. La sfilata delle sue jeunes femmes degli anni Ottanta dell’Ottocento, inappuntabili nelle toilettes à la page, diventa preludio ai grandi ritratti d’inizio Novecento: merita una lunga sosta quello di Lina Cavalieri, bellissima, fascinosissima, elegantissima, d’alabastro la carnagione, insomma una perfetta grande dame più che il soprano che sapeva incantare con la sua vocetta principi di Russia e miliardari americani in un vezzoso, scintillante girare di perle.
Con lei siamo proprio negli anni della Belle Époque e Parigi splende di luci; all’Opèra più che per ascoltare le musiche di Halévy e Bizet si va a vedere e a farsi vedere, le signore passeggiano, anche a cavallo, sul Bois de Boulogne e non si perdono le corse e i gran premi a Longchamp. Les italiens sanno cogliere l’atmosfera gaia e svagata della capitale anche perché il ferrarese Boldini, il veneziano Zandomeneghi e il pugliese De Nittis la vivono avendo scelto di risiedervi; propongono soggetti analoghi a quelli degli impressionisti, ma con diversa sensibilità: quasi di velluto Zandomeneghi, vaporosa De Nittis, spavalda Boldini.

Alla mostra novarese sono proprio loro i protagonisti per numero e qualità di opere, anche con autentici capolavori come Westminster (nella foto), memoria del soggiorno londinese di De Nittis, o la Place d’Anvers di Zandò o ancora l’Omnibus à Place Clichy di Boldini che non si stancherebbe mai di ammirare.

Vi sarebbe da scrivere a questo punto delle incomparabili presenze nelle ultime sale, tutto un turbinio di giovani e belle signore dallo chic inappuntabile e dalla classe assoluta, ma non v’è più spazio e se ne scriverà più avanti: le “divine” del resto lo reclamano tutto per loro. (nella foto, Giovanni Boldini, Omnibus à Place Clichy)

Giuseppe Pacciarotti