Autoritratto di Van GoghAutoritratto di Van Gogh

Duemilalibri e oltre – Da qualche tempo il governo lo ha nominato presidente del Vittoriale. E per lui, Giordano Bruno Guerri, storico, intellettuale, uomo di cultura appassionato del D'Annunzio, non poteva esserci regalo migliore. Peccato solo che gli impegni lo tengano lontano da moglie e figlio, un bimbo di 2 anni e mezzo perennemente al centro dei suoi pensieri nostalgici.

Incontro col pubblico – Nella serata di mercoledì 28 ottobre, a Besnate, nell'ambito di Duemilalibri, manifestazione il cui successo appare indiscutibile a dispetto di qualche gufo invidioso, oltre cento persone hanno ascoltato da Guerri i contenuti del suo ultimo libro, dedicato alla vita di Vincent Van Gogh. Genio incompreso in vita ed esaltato dopo la morte, uomo infelice, umile, afflitto da un atavico senso di inadeguatezza, Van Gogh agognava ciò che nella nostra epoca fa paura: ovvero, la normalità. Osservatore appassionato, amava dare alla Natura forza e brutalità, fascino e dirompenza, mentre a se stesso, nei tanti autoritratti realizzati in soli 37 anni di vita, preferiva dare un volto non suo: gettando sulla tela sensazioni invece di tratti somatici, sofferenza invece di lineamenti precisi; dolore e paura, ma anche quel filo di speranza che lui, più semplicemente, chiamava amore.
A dir poco originale, anche il rapporto che aveva con i volti degli altri.

La brevità dell'esistenza – "E' vero – conferma Guerri – Van Gogh non ha mai ritratto i volti di coloro che amava o che conosceva personalmente. I suoi soggetti erano solo ed esclusivamente estranei". Perché? Semplice. La sua profonda sensibilità lo portava a estrarre dal soggetto dipinto ogni molecola dell'io, fino a denudare completamente debolezze, segreti, fantasmi. Perciò scelse di non smascherare (dunque di non ferire) le poche persone care che aveva collezionato nella sua breve esistenza.