Busto A. – Nel 1855 un mazziniano esule a Londra, Giovanni Ruffini, pubblicò “Il Dottor Antonio”, un libro che illustrava la scoperta da parte di un Sir inglese e di sua figlia Lucy di Bordighera, un luogo dove il cielo azzurro, il mare turchino e il verde cangiante della natura formavano come un angolo di paradiso. Gli inglesi dopo averlo letto arrivarono subito per fermarsi nei mesi lunghi dell’inverno lì amabilmente tiepido, formando un’affollata colonia con tanto di cappella anglicana, biblioteca, banca, British Store, Circolo del Bridge, un Lawn Tennis e fin una clinica per gli adorati animali al seguito.

Non furono però solo gli inglesi a fare di Bordighera una meta prediletta per la villeggiatura invernale; arrivarono presto anche i tedeschi e anzi uno di loro vi costruì un albergo grandiosissimo e lussuosissimo, solo dal nome non rassicurante: “Angst”, che nell’idioma di Germania significa “paura”, “ansia”, ma era anche il cognome del proprietario.
E giunsero pure i vicini francesi, e con che personalità! Tra le prime Charles Garnier, il progettista incomparabile dell’Opéra di Parigi, assurta a simbolo della “grandeur” del Secondo Impero, quello di Napoleone III. Nel 1871, da Mentone dove s’era ritirato per sfuggire ai tumulti della “Commune” parigina, si spinse in carrozza – la ferrovia sarebbe arrivata solo pochi anni dopo – oltre la frontiera e rimase estasiato dalla bellezza intatta del paesaggio di Bordighera con l’antico borgo arroccato in leggera altura e, come cornice, una sontuosa vegetazione che a terrazzi digradava verso il mare infinito. Proprio un luogo ameno come si diceva allora, ideale per chi cercava oltre alla bellezza anche pace e tranquillità; Garnier, preso da questo suggestivo scenario, decise che era il sito perfetto per costruirvi una casa da vacanza per sé e la sua famiglia formata dalla moglie Louise e dal figlio Nino. E così fece.
Senza badare a spese, impiegando i compensi ottenuti nel faraonico cantiera dell’Opéra, acquistò terreni su terreni all’Arziglia, appena fuori dalle mura del paese, e avviò celermente i lavori non solo della casa ma anche del giardino che doveva circondarla. Già nel 1875 la villa era ultimata: non una dimora sontuosa e pomposa, ridondante di statue e ornamenti, ma un edificio scandito da muri bianchissimi appena pausati dalle imposte di color verde-ulivo. Solo una torre, diventata subito modello per le ville della Riviera, indugia in una certa creatività formale alleggerendosi a creare terrazzi panoramici: gli ultimi due si raggiungono con un’aerea scala a chiocciola in ghisa e v’è da immaginare il divertito disagio della salita da parte delle “dames” con le socche lunghe fino ai piedi come allora si usava.

Anche all’interno vige più funzionalità che sontuosità: nessun scenografico scalone, ma ampi saloni con tante finestre così da non far mancare mai il rapporto con la natura e il mare. Alcuni artisti ospiti di Garnier lasciarono poi loro dipinti sulle pareti: Paul Baudry che all’Opéra aveva affrescato il foyer, sul soffitto del salone dipinse due putti un po’ balossi a raffigurare le Arti.
Alle spalle e tutt’intorno come si diceva, Garnier mise a dimora argentei ulivi, aranci, oleandri non rinunciando nemmeno a talune piante esotiche e, ovviamente, alle palme che a Bordighera albergano magnificamente da quando sant’Ampelio ne portò i semi dall’Oriente.

L’architetto, scomparso nel 1898, non potè godere di questo giardino nello splendido ed esuberante rigoglio quale si può ammirare oggi se si va a visitarlo. Lì si è sempre accolti dalla gentilezza e dal sorriso delle Suore di San Giuseppe di Aosta che, dopo vari passaggi, hanno ereditato il complesso diventato un “feriendorf” ideale per chi vuole passare giorni di quiete e di serenità in rapporto stretto con una grande bellezza. La stessa che dovette emozionare anche Claude Monet – ecco un altro grande di Francia – che venuto a Bordighera nel 1884 in alcune tele dipinte “en plein air” fissò come solo lui sapeva fare questo paesaggio strepitoso che ancor oggi riesce a coinvolgere e ad affascinare, soprattutto se lo si ammira da Villa Garnier.

Giuseppe Pacciarotti