Gazzada, Varese – A Villa Cagnola si approda alla fine di un percorso attraverso un  paese, Gazzada, immerso nel silenzio della campagna. I rintocchi delle campane e i suoni della natura riportano a un tempo antico. L’incontro col restaurato Cristo alla colonna avviene dopo una breve salita in collina.

Ancora prima di imbattersi nell’opera ripristinata, la incontriamo nei discorsi di chi l’ha voluta e accudita. Dalle parole di Mons. Eros Monti, direttore della Collezione Cagnola, il Cristo alla colonna è un dono. Riemerso dalle polveri del passato grazie al contributo del dott. Roberto Villa, il benefattore che ne ha resto possibile il restauro, il dipinto è ora destinato a essere un’opera fruibile da tutti.

 

È Lucia Laita, la restauratrice che ha riportato in vita la piccola opera del XVI secolo, a descrivere la tavola come una sfida: “Accanto agli effetti dello spontaneo movimento elastico del legno, materiale “vivo”, ho dovuto misurarmi con evidenti forzature alla sua struttura e al suo naturale movimento. Inoltre, mi sono imbattuta in diversi strati di impasti, a base di polveri vetrose, applicati a più riprese: rimuoverli ha rischiato di compromettere l’integrità del dipinto sottostante”.

“Per fortuna, le tecniche di restauro nei secoli sono mutate a favore di modalità più efficaci e meno invasive. – aggiunge la Laita – La tavola, sottile di spessore, ha patito sia interventi troppo energici che incuria, forse distrazione, come dimostra la bruciatura di candela sul lato sinistro dell’opera”.

 

Accanto a ritocchi pittorici che hanno finito per alterare l’aspetto originario del dipinto, c’è stato spazio anche per belle sorprese: “Una volta rimossa la patina di porporina dalla cornice, è apparso uno spesso strato di foglia d’oro rimasto pressoché intatto”.
Il risultato brilla sotto gli occhi dei fortunati che hanno contemplato l’opera durante l’evento.

Con evidenti influenze ascrivibili alla pittura emiliana, la tavola è attribuita a un anonimo lombardo attivo sul finire del Cinquecento. Acquistata dai Cagnola nella seconda metà del XIX secolo, essa rispecchia in qualche modo anche quel clima culturale. Trascurata dalla critica, tanto da essere relegata in Appendice all’ultimo catalogo della Collezione Cagnola del 1998, il dipinto si rivela, invece, di grande interesse proprio per il suo carattere enigmatico e per il significato simbolico che lascia intuire.

 

La composizione di quest’opera sacra è stilisticamente opposta a quella delle icone. Le figure infatti, qui chiare, si stagliano su uno sfondo scuro anziché dorato.
La luce
, uno degli elementi del dipinto a colpire di più, si diffonde nel centro della tavola attraverso il corpo di un Cristo sanguinante, ma sereno in volto. Alle sue spalle, nell’oscurità, si scorge un braciere.

Andrea Bardelli, curatore della collezione, tiene a precisare che: “A partire da questo elemento abbiamo voluto inserire in allestimento un’opera fotografica di Christian Cremona, che raffigura una sorgente luminosa – Il titolo dell’opera è Esh, fuoco in ebraico”.

 

“Il lavoro di Cremona, nato indipendentemente dalla tavola, riprende ed amplifica la figura del braciere. Il fotografo è interessato alla possibilità di domare la luce attraverso l’apparecchio fotografico, con la gestualità di uno scultore e l’idioma di un pittore”.

 

Collocato in una stanza immersa in penombra, il Cristo alla colonna è  illuminato da un semplice faretto e mantenuto alla temperatura ottimale per la sua conservazione. Affiancato da due placchette bronzee raffiguranti la  Flagellazione, opere l’una de Il Moderno (XV e XVI secolo) e l’altra di fattura spagnola o fiamminga del XVII secolo, il Cristo alla colonna riporta al clima della Passione. Comune alle tre opere, infatti, è la presenza di un flagellatore intento a legare un fascio di verghe. Tassello di un percorso di arte e fede, l’opera obbliga a un esercizio di contemplazione.

 

Secondo Don Romano Martinelli, il volto del Cristo sembra chiederci con quali occhi lo guardiamo, se con quelli del flagellatore o i nostri:  ”Il pittore ha dipinto il proprio sogno su Dio. Alla domanda ‘Chi dite che io sia? ’ ha risposto con la vulnerabilità di Dio che si lascia ferire per amore”.
L’umanità del Cristo alla colonna, depredata di ogni dignità, diventa un dono.

Michela Sechi