Nei giorni scorsi l'amministrazione Galimberti ha deciso di accantonare il progetto del nuovo teatro. L'opposizione bolla la scelta come un passo falso, ma la giunta replica a suon di pragmatismo. Spiega l'assessore Civati: il nuovo codice degli appalti rende molto più complicati interventi del genere (a proposito, non ho ancora trovato un solo bipede che parli bene di quel codice). È anche vero, però, che una parte della maggioranza (Varese 2.0) non ha mai digerito l'intervento di via Ravasi, opera economicamente fondamentale in chiave teatro.

E così, stralciando quest'ultimo, i nuovi vertici comunali fanno di necessità virtù: alleggeriscono il maxi progetto e, nel contempo, prevengono i mal di pancia. Ma c'è di più. Eliminare il teatro dal Masterplan è, in verità, un atto innocuo. Significa cancellare un disegno, nulla più. Perché dell'intervento in sé, finora, sono state illustrate solo dimensioni e collocazione. Niente contenuti, niente vocazione, niente anima.

Ma fare un teatro al giorno d'oggi è cosa ben diversa rispetto a trent'anni fa. Mura, palco e sipario non bastano più. Anzi, in certi casi non servono neanche. In giro per il Mondo ci sono teatri invisibili, che all'occorrenza emergono dal sottosuolo. E altre realtà polifunzionali, da vivere tutti i giorni tutto il giorno. L'impressione è che l'amministrazione abbia scelto la via della prudenza e dell'analisi. In fondo, dentro alla orrenda tensostruttura dell'Apollonio, batte il cuore di un vero teatro: gestito con solida esperienza e indubbia professionalità. Prima di smantellarlo, pertanto, è bene capire cosa, come e quando lo sostituirà. Perché il bello vince sul brutto solo se ha qualcosa di più interessante da dire.