Andrea SpiritiA pochi giorni dalla chiusura della mostra Daniele Crespi. Un grande pittore del Seicento lombardo che ha richiamato a Busto Arsizio, in poco meno di due mesi, la bellezza di oltre 12000 visitatori, ci è parso il caso di disturbare il curatore. Il Professor Andrea Spiriti, docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università dell’Insubria, ci riceve negli uffici varesini del Dipartimento di Informatica e Comunicazione (DICOM), e sembra disposto a bere il calice del successo e dell’invidia, giacché accanto alla sorprendente risposta di pubblico, alla mostra bustese non sono mancate alcune critiche.

A mostra chiusa, si ritiene soddisfatto?
“Direi proprio di sì. I numeri parlano chiaro, tanto più se si tiene conto del fatto che Busto non è centro espositivo di richiamo e che abbiamo proposto un pittore del ‘600, non proprio di facile attrattiva.”

Il fatto che l’ingresso fosse gratuito, ha inciso?
“Non credo più di tanto. Ma è stata comunque una nobile scelta dell’Amministrazione.”

Il fenomeno che più l’ha colpita?
“Il fatto che molte persone tornassero una seconda volta alla mostra, indizio di un vero interesse, al di là della prima curiosità.”

La città di Busto Arsizio, come ha risposto?
“Molto bene, al di là di ogni aspettativa. E a conferma del fatto che Daniele Crespi rappresenta per Busto un fattore di identità civile, un simbolo che va oltre il valore artistico della sua opera.”

 

Andrea Spiriti

Dal punto di vista scientifico, quali sono gli apporti della mostra e del relativo catalogo?
“Secondo il mio modo di vedere, l’una e l’altro hanno messo a fuoco alcune linee d’indagine che andavano sondate nella vicenda del pittore: ad esempio il rapporto con Genova, la stima dei grandi pittori spagnoli, le relazioni non solo artistiche con gli ordini religiosi, primi committenti delle sue opere; e poi l’essere al centro di una vastissima rete di intellettuali.”

A discapito del rigore filologico? La mostra è stata criticata per alcune “disinvolte” nuove attribuzioni…
“Il Crespi ha avuto una carriera brevissima, dodici anni di lavoro intenso, quindi da parte degli studiosi raramente si trova concordia nell’attribuzione e datazione delle opere. Sono state formulate delle ipotesi, in alcuni casi, non delle certezze: siamo quindi pronti al confronto, ma sulla base di argomenti e alla luce del fatto che nessuno, nel campo dell’attribuzione, detiene la verità.”

Si aspettava le critiche?
“Assai ridotte, a confronto delle recensioni positive alla mostra, basti per tutte l’apprezzamento di Vittorio Sgarbi. Per quanto attiene al “Giornale dell’Arte”, ho ritenuto opportuno replicare e tale replica è comparsa in questi giorni.”

 

Il succo della sua replica?
“La storia dell’arte non si riduce alla ricostruzione puntigliosa del catalogo di un artista, Crespi sì o Crespi no, ma tenta di ricostruire la posizione della sua opera nella storia della cultura, cioè quel contesto di relazioni in cui un dipinto va a inserirsi, modificandolo.”

Gli studiosi più accreditati del Crespi risultano assenti nel comitato scientifico della mostra, così come nei contributi in catalogo: come mai?
“Alcuni di coloro che avevano pubblicato studi importanti su Daniele sono stati invitati a partecipare al progetto, ma hanno deciso di declinare; altri hanno accettato. Inoltre, nuovi filoni di ricerca sono stati inaugurati da questa mostra, che ha aperto – non certo chiuso – nuove strade alla conoscenza del pittore e della sua epoca. In questo senso auspico un grande convegno che riunisca liberamente tutte le opinioni”.

Anche l’allestimento, soprattutto lo sfondo violetto ai quadri nelle sale, non sempre ha convinto…
“Qui si entra nella sfera estetica, del gusto di ciascuno, opinabile per definizione. La sede espositiva aveva non pochi vincoli strutturali, ma in generale si è seguito un criterio di sobrietà, che ha privilegiato la fruizione delle opere.”

La Lombardia, con la valorizzazione dei suoi artisti, non corre il rischio di ripiegarsi su se stessa?
“Non credo, alla luce anche di una storia dell’arte italiana che ha studiato e valorizzato altre aree dimenticando il policentrismo. Semmai, c’è moltissimo da fare nello studio e nella scoperta di fenomeni locali solo apparentemente minori, e spesso invece anticipatori delle novità delle metropoli. La Lombardia, grazie alla sua posizione di cerniera, ha sempre rappresentato una terra d’incroci e scambi culturali di una ricchezza senza pari: Daniele Crespi in questo senso è un caso emblematico.”


Sono maturi i tempi per una grande mostra sul Morazzone? Magari a Varese?

“Per Varese, è un problema da valutare. Per Busto Arsizio, varrebbe la pena di proseguire il discorso sul Sei-Settecento, dal lascito del Crespi al Rococò. Mi interessano i fenomeni di lungo periodo e percorso nella storia dell’arte, non i discorsi troppo settoriali della disciplina, alla fin fine angusti. ”

Se potesse tornare indietro, rifarebbe la mostra su Crespi tale quale?
“Sì, certo. Con mezzi non straordinari abbiamo imbastito una mostra degna del grande pittore, con prestiti importanti dai grandi musei europei e italiani che ci hanno confermato nella qualità scientifica del progetto. La mostra è stata una scommessa vinta: il successo di pubblico inaspettato, la riapertura del dibattito critico, la riappropriazione da parte di Busto Arsizio del proprio artista, che è stato capace in poco più di un decennio di lasciare un’impronta originale nella pittura europea.”