A. Mantegna, San SebastianoA. Mantegna,
San Sebastiano

Eterna vitalità di Parigi – "Ah! La charmante chose/quitter un pays morose/pour Paris. Paris jolie…" scriveva Apollinaire e noi potremmo aggiungere anche Parigi fucina inesauribile di esposizioni che più belle e serie non si può: al Louvre Mantegna, Delacroix e Picasso; al Grand Palais ancora Picasso (e qui file ordinatissime e silenziose) e, quasi una rivelazione, Emil Nolde, l'espressionista dello Schleswig-Holstein; allo Jacquemart-André altre code per i ritratti aristocratici di Van Dyck (bellissimo il suo, di romantica inquietudine); alla Fondazione Saint Laurent le immagini scultoree di un tanto sconosciuto quanto straordinario fotografo: David Seidner. E non é tutto, ma – si sa – Parigi offre anche altre tentazioni…

La mostra di Mantegna
C'era gente, proprio tanta gente, al Louvre per vedere Mantegna 1431-1506, la mostra ottimamente impostata da Dominique Thiébaut e da Giovanni Agosti, coadiuvati da una scelta schiera di studiosi, e ricca di circa duecento opere che permettono di intendere non solo lo svolgersi, complesso e lungo, dell'arte del grande maestro, ma anche il fervere pulsante e stimolante degli ambienti in cui egli si trovò a lavorare. Ambienti di grande cultura e di altrettanto grande apertura, a cominciare da Padova che vide Mantegna esordire nell'atelier di Francesco Squarcione ed entusiasmarsi di fronte alle opere sconvolgenti di Donatello. V'é poi l'incontro, che diventò parentela, con la famiglia Bellini e i suoi artisti molto eterogenei, e il suo intendersi soprattutto con il più moderno: Giovanni. La pittura di questo cognato Andrea l'avrà ancora bene in mente quando dipingerà 'La Morte della Vergine', una tavola neanche tanto grande, ma qualitativamente eccelsa, dipinta per la cappella del castello di San Giorgio a Mantova, dove alle spalle dell'evento doloroso, reso fin drammatico, si apre una veduta, colma di vibrante poesia, della laguna in vista della residenza dei Gonzaga.

La stima di Ludovico Gonzaga – Straordinari furono il settimo e l'ottavo decennio del Quattrocento, tutto preso dagli impegni per quel gran signore che fu Ludovico Gonzaga. In essi, Camera degli sposi inclusa, ma soprattutto nel monumentale San Sebastiano arrivato con la dote di Chiara, figlia del marchese Federico, ad Aigueperse, in Auvergne, continua ad essere insistente, fin assillante, il tema dell'antichità, un'antichità "disperata, sottile e dogmatica, non meno immaginaria di quella che il veneto Piranesi, tre secoli dopo, caverà dalle antichità romane e soprattutto dalla sua immaginazione", come argutamente scrisse Roberto Longhi. Ed infatti quando Mantegna tra il 1488 ed il 1490 andò a Roma perché Innocenzo VIII volle fargli decorare la cappella del Belvedere, non guadagnerà granché dal contatto diretto con le rovine del glorioso passato. Quel mondo, sublime ed eroico, era dentro di lui in modo solo suo, fin dagli anni di Padova e ancora in quel modo Mantegna lo volle riproporre nel Parnaso, una delle due tele destinate allo studiolo d'Isabella d'Este Gonzaga; in mostra si può ben misurare la differenza, anzi l'abisso, fra questi due lavori e quelli, sempre per lo stesso ambiente, di Lorenzo Costa e del Perugino mentre le due tele del Correggio, più tarde, parlano ormai tutto un altro linguaggio.

L'opera dei De DonatiL'opera dei De Donati

La venerazione per l'Antichità – Questa quasi venerazione per l'antichità si ritrova incalzante nei solenni Trionfi di Cesare che dalla collezione dei Gonzaga, una volta tramontati i loro poteri e le loro glorie, passarono a quella della famiglia reale d'Inghilterra (e Sua Maestà la Regina Elisabetta II li presta senza fare tante storie anche se non tutti e nove). Da questi lavori, una summa del Quattrocento, vennero tratte copie e incisioni numerose che diventarono fonte d'ispirazione per Correggio, Rubens, Poussin e fin Degas nelle sue esercitazioni di gioventù.

Echi mantegneschi in un rilievo della Madonna del Monte
– Ben documentata in mostra é anche tutta l'attività incisoria del maestro nativo d'Isola di Carturo, attività assolutamente non secondaria tanto da essere menzionata nella Vita che di lui scrisse il Vasari. I suoi fogli grafici circolarono nell'ambiente artistico dell'alta Italia ed una prova riguarda proprio l'area varesina. Infatti la Deposizione nel sepolcro, presente in mostra, che Giovan Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati scolpirono a rilievo nel legno per il Santuario della Madonna del Monte (ora al Castello Sforzesco, deposito di Brera) é presa paro paro da una sua incisione, solo resa con più enfasi patetica, giusto come s'addice ad un ambiente meno sofisticato ed intellettuale di quelli frequentati come riverito e ricercato cortigiano dal Mantegna. Ovviamente, usando il termine "cortigiano" per questo eletto artista, absit iniuria verbis.