L'opera di El AnatsuiL'opera di El Anatsui

Umanità distruttiva – Al di là delle considerazioni su una Biennale che nelle intenzioni dei curatori pare seguire le vie del mercato e non quelle dell'arte più di una parola positiva va spesa su alcuni artisti. Il leit motiv delle opere degli autori più significativi ed originali è certamente quello della fine: il video dei russi AES+F, le installazioni del giapponese Masao Okabe, della finlandese Maaria Wirkkala, del greco Nikos Alexiou, a loro modo anche gli splendidi arazzi del nigeriano El Anatsui ci parlano di un'umanità che tende alla distruzione del pianeta oltre che di se stessa.

Frottage nucleare – In un'epoca in cui è di moda la leggerezza ben venga una Biennale molto grave, escatologica addirittura, nonostante le indubbiamente più lievi intenzioni dei curatori. Al padiglione giapponese Masao Okabe presenta 1400 frottage realizzati a Hiroshima e la fila di pietre superstiti che di quelle tetre impronte costituiscono le matrici. Le pietre della banchina della stazione, lontane dall'epicentro, sono sopravvissute al bombardamento atomico e possono raccontare la loro storia grazie al semplice gesto del frottage, ripetuto e messo in mostra infinite volte; gesto che diviene sacro, rituale, ipnotico nella sua riproduzione video. I frottage eseguiti con un semplice carboncino si alternano a immagini digitali e fragili fiori, fili d'erba, frammenti vegetali.
Is there a Future for our Past? The Dark Face of the Light…il titolo non ha bisogno di commenti.

Modello Swiss miniatur… – Il video Last Riot dei russi AES+F, che utilizza una grafica digitale da videogioco, è semplicemente agghiacciante: sullo sfondo di una sorta di replica virtuale di un mondo ingenuo e perfetto che ricorda modelli del genere swiss miniatur alcuni adolescenti androgini di diverse etnie vestiti con abiti militari combattono una guerra senza dolore né sangue. Tutto è congelato: i movimenti, i volti inespressivi, il paesaggio. Non se ne accorgono, ma volgono alla catastrofe.

L'opera di Maaria WirkkalaL'opera di Maaria Wirkkala

Il romanticismo dell'assenza – Crudele e glaciale anche l'installazione Vietato lo Sbarco della finlandese Maaria Wirkkala, la cui solitaria imbarcazione è ferma ad un approdo di vetri rotti. L'assenza dell'uomo, evocato soltanto nella tecnica che ha prodotto i detriti vetrosi ricorda il Mare di Ghiaccio di Friederich: tra le schegge degli iceberg così come tra quelle dei vetri la sete di conoscenza è destinata al fallimento.
Il Romanticismo viene dal Nord.

In Nigeria si recupera – Alle corderie dell'Arsenale lasciano senza fiato i sensuali e suadenti arazzi del nigeriano El Anatsui che dissimulano il nitore e la freddezza del metallo con l'apparenza morbida e corposa del broccato: la vera natura di ottone e latta di recupero si svela a distanza ravvicinata. Multicolori tappi corona, schiacciati, appiattiti e ricuciti intrecciano orditure metalliche che evocano la forza espressiva e la ricchezza dei preziosi abiti da cerimonia africani.
Cucito: il titolo semplice, chiaro e inequivocabile ci parla di un mestiere paziente, sapiente e faticoso, che non conosce o evidentemente non può condividere l'ansia performativa del nostro lavoro, ma che sa carpire le potenzialità espressive di ciò che l'occidente produce in eccesso e scarta senza ritegno.

L'opera di Nixos AlexiouL'opera di Nixos Alexiou

L'eterno ritorno nel padiglione greco – Nel padiglione greco il lavoro di Nikos Alexiou sembra approdare a lidi più sicuri…eppure, ancora una volta il titolo è The End.
E' spontaneo per i visitatori avvicinarsi all'installazione in silenzio. La ripetizione dei segni, delle forme, degli oggetti, delle costruzioni, dei moduli, dei colori induce inevitabilmente a rallentare i movimenti, impone un tempo lungo di lettura dell'opera.
Vortici, spirali labirintiche, meandri sono i segni più ripetuti in leggerissime orditure di carta che si susseguono come tendaggi creando suggestive trasparenze cui si sovrappongono proiezioni digitali delle medesime geometrie. La ripetizione della spirale disegna fisicamente l'aria dello spazio espositivo, riproponendo quasi all'infinito il motivo decorativo del pavimento di un monastero sul Monte Athos.

La radice della poesia – Avvicinandosi a queste fragili tessiture ci si accorge che sono inevitabilmente "fatte a mano" e ancora di più la nostra ansia di consumare velocemente l'arte della Biennale si placa. Un lungo tavolo accoglie un'ordinata sequenza di effimere costruzioni di ritagli di carta, legno, corda, cotone e altre fibre vegetali. Strutture preziose e delicatissime che, come già i disegni dei velari, mostrano proprietà di autosomiglianza: geometrie frattali generate dalla reiterazione dello stesso gesto. E' un'ipnotico "eterno ritorno", che coinvolge la dimensione spirituale e corporea assieme, ad esemplificare forse per Nikos Alexiou il concetto di fine. La sua installazione ci riporta finalmente ad una concezione dell'arte come "fare", "poiein" in greco appunto, pensare e sentire attraverso la prassi, la creazione. Poesia ha la stessa radice.