Bergamo – E’ stata una figura femminile dirompente in un’epoca, tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta, quando essere artiste donne incontrava non pochi ostacoli nel mondo dell’arte. Stiamo parlano di Carola Mazot (Valdagno 1929 – Milano 2016) alla quale la città dedica, da giovedì 5 maggio (con inaugurazione alle 17.30) la mostra “Riflessi dall’inconscio” allestita nell’Ex Chiesa della Maddalena.

L’esposizione ripercorre gli anni Ottanta e Novanta della produzione artistica di Carola Mazot e vuole innanzi tutto indagare in quel sentimento di inconoscibilità e contraddittorietà della vita che ognuno di noi avverte in fondo a se stesso con il senso di mistero e incanto sprigionato dalle opere di questa artista.
Da un lato vediamo che per lei la realtà più misteriosa e imperscrutabile è l’essere umano e il suo volto, ritratto in sintesi, disegno e segno impostatale proprio dalle basi apprese da Giacomo Manzù, suo ultimo maestro, con spessore espressivo che allude ad una interiorità silenziosa e potentissima. Al centro di ogni suo interesse, dunque è a figura umana che viene indovinata, studiata, amata e poi reinterpreteta, seguendo il filone nostalgico della pittura espressionista di Munch, Kokoshka e Sironi, con una particolare forza, sicurezza e musicalità di accordi che conquistano l’osservatore.

Una buona parte dell’esposizione è dedicata anche alla serie dei “Giardini”, il periodo più informale e astratto della sua storia artistica, che ha origine dall’osservazione degli elementi della natura: alberi e boschi grondanti di pioggia, radici, fiori, rami intrecciati con vitalità e fantasia travolgente. Luoghi immaginari dove si respira la libertà, filosofia della natura come sede di speranza, spazi dove il bello della natura è ancora possibile.

Lavori dipinti di getto con stile sicuro e senza ripensamenti. Affermava Constantin Brancusi: “La semplicità in arte è la sostanza di una complessità risolta”, così nei “Giardini” vi è uno stile che a tratti si fa essenziale e fa pensare alla sintesi del disegno orientale, dove elementi isolati richiamano la macchia nera di china dell’ideogramma giapponese sul bianco della tavola. Mazot riesce, con poesia, a delineare e portare in luce le zone d’ombra dell’animo umano.

Accompagna la mostra, che rimarrà in caledario sino al 29 maggio, un catalogo con testi critici di Chiara Gatti, Mario De Micheli, Franco Loi e Giorgio Seveso. Orari: giovedì, venerdì e sabato 16– 19; domenica 10-13/16- 19.

Note biografiche
Carol Mazot, veneta di nascita, ha vissuto e lavorato per gran parte della sua vita a Milano. Nipote del pittore post impressionista veneziano Vettore Zanetti Zilla che fu anche suo primo maestro, studiò in gioventù con illustri maestri come Donato Frisia e Lorenzo Pepe ma la sua formazione è legata soprattutto all’Accademia di Brera, durante gli anni Sessanta, sotto la guida di Marino Marini e Giacomo Manzù. Frequentò il Jamaica negli anni dei maggiori fermenti artistici e culturali, conoscendo numerosi artisti e scrittori fra i quali Ernesto Treccani che le fece alcuni ritratti, Alik Cavaliere, Giuseppe Migneco, Aligi sassu, il critico Mario De Micheli e il poeta Franco Loi che seguirono e scrissero sui suoi lavori.
Sposò lo scultore Guido Di Fidio. Lavorò soprattutto a Milano esponendo in numerose città in Italia e all’estero: Milano, Venezia, Verona ma anche Lugano, Parigi, Varsavia, Vienna, Lione, New York e San Francisco.