Busto A. – Evviva, si può riprendere ad andare in giro. Vicino o lontano poco importa, basta andare. E allora si potrebbe incominciare vedendo ville, non solo lungo il Brenta, in Brianza e sui Navigli, ma anche a due passi da casa nostra: a piedi oppure con poche pedalate. Va bene anche incominciare da Busto dove nella piazza già denominata “del Conte” (in seguito in modo meno aulico ma sempre efficace) si impone, tutto pittato di bianco, il palazzo passato per acquisto dalla nobile ma soprattutto facoltosa famiglia Rasini ai conti Marliani.

Palazzo Marliani, Cicogna Mozzoni

Spetta proprio a questi ultimi l’aver riunito e sistemato edifici fino ad allora senza qualità trasformandoli in una “casa da nobile” elegante, ben distinta dalle altre rustiche case affacciate sul piazzale e provvista alle spalle di un giardino all’italiana oggi neanche possibile da immaginare. Il suo assetto per come lo vediamo tuttora, fatte salve le evidenti aggiunte più tarde, risale al Settecento e ne sono testimonianze soprattutto il raffinato portale di gusto barocchetto che, stretto fra un muro bombato, guidava prospetticamente fino al parco, le incorniciature, anche a conchiglia, dei balconcini e all’interno taluni soffitti lignei “a passasotto” e i piacevolissimi affreschi dipinti a mo’ di fregio in una sala del pianterreno con vedute marinaresche incorniciate da briose quadrature.

Fregio con vedute marinaresche in una sala di Palazzo Marliani

Come tante altre ville del suburbio milanese il palazzo passò per via ereditaria prima e per breve tempo ai conti di Gambarana e di Langosco e poi ai Cicogna Mozzoni i quali nel 1823 lo cedettero alla municipalità di Busto. Nel 1851-52 questa “con grande dispendio lo fece ampliare in modo da potervi comodamente collocare gli uffizi comunali” e in seguito quelli del Tribunale; più tardi intervenne un annoso restauro volto a trasformare l’antica villa in sede della Biblioteca e del Museo. Una sede certo di tutto rispetto, ma di com’era la casa del feudatario Carlo Marliani che nel 1739 vi giunse “colla sua novella sposa la Signora Donna Maria Busca, accompagnato da molte carrozze di nobiltà ch’erano in seguito”, e della sua pomposa atmosfera si è proprio perso ogni traccia.

Palazzo Rasini a Borsano

Non ci vuole molto per arrivare dalla piazza del Conte fino a Borsano e qui, purtroppo in condizioni non fauste, si distingue per studiata eleganza formale il palazzetto da dove governavano le loro proprietà i Rasini conti di Castelnovetto, condottieri, ma anche giureconsulti e “protonotari”. Della famiglia fu Carlo, fratello del feudatario di Borsano e principe del Sacro Romano Impero, ad occuparsi dei possedimenti nel paese e a far costruire ad inizio Settecento una dimora adatta al suo rango alla quale volle fosse poi addossato un oratorio dedicato a Sant’Antonio da Padova le cui storie vennero affrescate nel presbiterio da un pittore che portava lo stesso nome di un parente altrettanto, anzi forse più illustre nel campo: Stefano Montalto.
Una dimora davvero di ricercata eleganza quella voluta dal Rasini anche se oggi è faticoso apprezzarne tutta la ricercatezza che ne faceva la distinzione: le sue facciate, sia quella sulla via principale del borgo, sia quella che dava sulla corte, denotano una ricercatezza sapiente da parte del progettista capace di prospettare un impiego inconsueto e variato delle lesene che le scandiscono. Anche il leggero aggetto delle brevi ali laterali si spiega con pertinente ragione in quanto racchiude lo spazio, opportunamente delimitato da cippi di pietra, dove carrozze e carri potessero muoversi agevolmente.

La balconata di Palazzo Rasini a Borsano

Per la villa non solo fu chiamato un architetto di vaglia, ma anche venne prestata attenzione ai decori che la qualificassero con aggiornata raffinatezza come testimoniano ancora i ferri battuti della balconata  sopra il portone d’ingresso e la balaustra dello scalone, eseguiti con esemplare maestria, e i rilievi a stucco – pochi ne sono rimasti – con gradevoli motivi a foglie e a fiori.
Anche per la casa da nobile dei Rasini dalla corte si dipartiva un vasto e lungo giardino di là dal quale vi era “parte campo, parte vigna, e parte bosco e brughiera”, quasi tutto possedimento della antica e insigne famiglia che rimase a Borsano fino all’Ottocento per poi alienare la proprietà che da allora si avviò alla decadenza.

Giuseppe Pacciarotti