A guardarlo adesso conserva ancora tutto il suo fascino intatto. Fin dal suo formato così demodè: 17cm di base x 28,5 di altezza, rigorosamente in bianco e nero, stampato dalla tipolito Bistoletti di Capolago.

Titolo in bianco, Trentacinque artisti varesini. In copertina, un Concetto spaziale di Lucio Fontana, e sulla quarta le mani robuste del maestro argentino, foto di Ugo Mulas, niente di meno.

Uscì nel 1971, esattamente nel settembre del 1971. Quando lo scrisse, il critico d'arte e gallerista Gian Franco Maffina era probabilmente uno dei maggiori animatori della vità culturale e artistica della città.

Prima ancora di dedicarsi alla musicologia fondando, insieme alla seconda moglie, la Fondazione Russolo Pratella, Maffina aveva già allestito mostre non banali al Chiostro di Voltorre e da poco si occupava anche della programmazione del Museo delle Terraglie di Laveno (si chiamava ancora così, ai tempi).

Ma soprattutto aveva da poco tempo istituito un Centro documentazione arte Varese, vero e proprio archivio dell'arte locale che faceva in qualche modo pendant con l'attività commerciale in senso stretto che Maffina gestiva in proprio in pieno centro storico a Varese.

Un giovane Angelo Bertolio Un giovane Angelo Bertolio

Da lì in qualche modo, quando Varese aveva, strano a dirsi, molte e molte più gallerie, la città è passata, la città degli artisti, dei critici, degli appassionati è transitata. Il libro era per loro, per lo più. Ma non solo.

Ma di cosa si trattava? Di una scelta, intanto, con tutti i limiti e i pregi che una scelta selettiva può comportare dovendo scegliere fior da fiore, tra l'ottuagenario Innocente Salvini e i ribaldi trentenni dell'ultima leva, classe '40 o giù di lì; gli Ortelli, i Morandini, gli Ambrosini, i Frattini, i Borghi, gli Uboldi, per non dire dello scavezzacollo Pedretti,  allora ventunenne, appena smessi i calzoni corti.

Manca ad esempio un Luca Lischetti, pure già presentato l'anno prima dallo stesso  Maffina, o un Giovanni La Rosa, per dirne solo due di quella generazione di più giovani compresa tra gli anni '35 e i '50. Mentre è presente un Antonio Pacchiarini, poi del tutto obliato dopo la sua morte nel 1984.
Non era facile dovendo, anche per un critico-gallerista, unire le ragioni dello storico, del mercante d'arte, dell'amico, del compagno di strada.

Rod Dudley in tenutaRod Dudley in tenuta

Ed erano anni, quelli, ben più di adesso, di cappe e di spada, potremmo dire, anche tra di loro, di amicizie più sanguigne, ma pure signorili ostilità; di pugni negli sterni e di corse in macchine nella notte come si conviene a veri boehmienne, di grandi tavolate riparatorie, spesso alla Locanda del Rosato a Barasso, e poi a far baldoria fino a notte inoltrata.
In mezzo c'era l'arte, mai presa sotto gamba. Perché per tutti loro, al fondo, si trattava di viverci. Ecco perché Trentacinque artisti varesini risulta tuttoggi un'opera assolutamente seria.

Non solo per l'excursus iniziale del Maffina lungo i corsi dell'arte novecentesca, quanto nelle singole biografie dei giovani e dei meno giovani artisti presi in considerazione, per la letteratura critica, spesso stesa dal Maffina, in alcuni casi da autentici fuoriclasse della letteratura critica italiana, Borgese, Gatto, Kaisserlian, Ragghianti, Valsecchi ed altri, e per la selezione visiva delle opere offerte ai lettori.

Importante quanto la galleria dei ritratti dei protagonisti. Documento di significativa intensità di una "meglio gioventù" che nell'arte credeva in quegli anni difficili e con qualche disincanto forse e senza esclusione ci crede tuttora.