Nuovi documenti, pezzi inediti, la ricostruzione laboriosa che va a colmare vuoti che ancora persistono nella storia delle manifatture ceramiche della provincia di Varese. La mostra e il catalogo di Villa Gianetti a Saronno affronta alcuni nodi cruciali della tradizionale artigianale-artistica del Varesotto, dalla 'terra madre' Laveno,  che ha segnato anche industrialmente il territorio, fino a questo secolo, ai piccoli centri che a far data almeno dal XVIII  hanno creato con tenacia quell'humus fertile che ha reso questa terra particolarmente disponibile ad apprendere i segreti delle cotture, sulla scia di trazioni che si perdono fino all'epoca romana.
Con Carlo Facchini, Adrea Griffanti, vice segretario dell'Associazione Amici della Ceramica, sezione varesina, è uno degli autori, della ricerca che ha puntato i riflettori sulla rilettura delle imprese ceramiche tra Cunardo Castel Cabiaglio e Ghirla.

Griffanti come è nato il progetto?

"L'intento mio e di Facchini, che si è dedicato a ricapitolare la vicenda delle ceramiche di Ghirla, è quello di andare alle radici del problema, della storia di queste manifatture. In mancanza di documenti certi e in presenza invece di una storia che, nonostante il nostro studio sia il più aggiornato in materia, è ancora in buona parte da ricostruire".

Cosa evidenzia di nuovo il vostro lavoro?
"In mancanza di portati esagerati, abbiamo cercato di dare un ordine cronologico alla materia. Ma soprattutto siamo riusciti, ad esempio, a recuperare il nome e cognome di quattro manifatture su cinque operanti a Cunardo tra il 1839 e il 1870. Non solo è stato possibile identificarle, attraverso un documento 'improbabile', recuperato nei pressi di Domodossola, ma addirittura conoscerne il numero di di lavoratori e persino gli stipendi".

Cosa ci faceva questo documento improbabile vicino a Domodossola?
"In realtà non è tanto improbabile. Altri documenti informano che già nel 1818 un curato di Premia, sponda piemontese del lago Maggiore, insoddisfatto dall'andamento di una manifattura locale prese a visitare la sponda svizzera e lombarda in cerca di consigli per risollevare l'impresa. Alla fine se ne tornò a Premia con un 'provetto vasaio cunardese', tal Domenico Baronio, così recitano i documenti storici".

Documenti inediti, dunque. Pezzi invece non noti?
"Volevamo un lavoro del Castello Sforzesco, ma ci è stato rifiutato dalla Soprintendenza. Abbiamo, invece, tre splendidi pezzi da collezione privata, di manifattura cunardese. Tre lavori inediti, che potranno fare testo e riferimento per una vicenda artistica e produttiva ancora in parte da scoprire".

Il Museo Gianetti con questa iniziativa auspica un nuovo corso tra i musei della provincia che si occupano di ceramica e un nuovo 'assetto' anche istituzionale, una sorta di sistema vero e proprio.
"L'augurio è sicuramente una logica di interscambio tra i centri dediti alla ceramica. Il progetto alla base è certamente di ampio respiro, direi anzi interregionale. Un discorso di interscambio, soprattutto, tra pubblico e privato che sembrava ben avviato già nei mesi scorsi con la mostra allestita nel luglio del 2006 in Sala Veratti. Con rammarico bisogna riconoscere che in questo caso, il privato ha risposto, il pubblico un po' meno".

In che senso?
"Con franchezza, questa mostra di Saronno difficilmente sarebbe stata possibile senza l'intervento di una grossa sponsorizzazione delle Ferrovie Nord. Quanto al pubblico, ci siamo trovati di fronte ad ostacoli 'burocratici' che forse con un po' di buon senso si sarebbe potuti superare. Sia in termini di autorizzazioni che di prestiti".
Il riferimento alle ceramiche di Castel Cabiaglio esposte al Castello di Masnago invece che al Museo Gianetti non è affatto casuale.