Pittura, incisione e fotografia, tre volti dell’arte nell’Ottocento, sono al centro di una interessante, e particolarmente completa, mostra in corso fino al 2 febbraio alla Pinacoteca Giovanni Züst di Rancate a Mendrisio, in Canton Ticino, diretta da Mariangela Agliati Ruggia.
Il titolo – «Arte e arti. Pittura, incisione e fotografia nell’Ottocento» – inquadra bene il tema dell’esposizione, curata da Matteo Bianchi, che intreccia i tre linguaggi artistici con un confronto serrato e stimolante tra loro, da cui si deduce un rivoluzionario modo di vedere la realtà e di diffondere conoscenze e informazioni.
La data cruciale del punto di non ritorno è il 7 gennaio 1839: quel giorno, all’Accademia delle Scienze di Parigi, veniva presentata ufficialmente la scoperta della fotografia, merito di Niépce e Daguerre. Per molti decenni tuttavia, un pregiudizio aleggiò nei confronti della nuova tecnica: con l’arte si crea, con la fotografia si riproduce solo meccanicamente.
È nota la frase di Paul Gauguin: «Sono entrate le macchine, l’arte è uscita… Sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile». Essa darà invece origine a un nuovo modo di rapportarsi al reale e molti saranno i pittori che sapranno farne un uso originale.
Come Jean-Baptiste-Camille Corot di cui in mostra ci sono una decina di cliché-verre (letteralmente «immagine di vetro»): incisioni su vetro che costituiscono un ibrido tra disegno, incisione e riproduzione fotografica con una qualità artistica straordinaria. Una contaminazione linguistica sul filo dell’incisione.
Filippo Franzoni
“La vela”

La mostra approfondisce esempi offerti da noti pittori ticinesi e italiani. Luigi Rossi ai primi del Novecento utilizza, ad esempio, la fotografia quale complemento ideale all’album di schizzi nella costruzione della posa, come avviene nei dipinti Primi raggi e Riposo. Così come Filippo Franzoni fa largo uso della nuova tecnica nella costruzione di autoritratti e paesaggi, Luigi Monteverde inizia addirittura la sua carriera come fotografo. Fra gli artisti italiani spiccano lavori di autori che fin dagli anni sessanta dell’Ottocento hanno affrontato il rapporto con il mezzo fotografico, come Filippo Carcano, accusato dalla critica artistica di un uso “improprio” della fotografia per le “inquadrature” moderne delle sue opere. Occorre ricordare anche Domenico Induno, che in alcuni lavori fece dialogare direttamente i personaggi delle sue tele con le fotografie, Federico Faruffini, che abbandonò la pittura proprio per aprire uno studio fotografico in via Margutta a Roma, Achille Tominetti, Uberto dell’Orto, Pellizza da Volpedo e Angelo Morbelli. Autori accomunati dall’impiego della fotografia come mezzo di indagine sul vero. Significativa anche la presenza di lastre fotografiche originali e opere di Mosè Bianchi e Pompeo Mariani.