Un'opera di GiancarloUn'opera di Giancarlo

Ospite della Sala Veratti a Varese, insieme alle tele del padre scomparso, Giancarlo Balansino Junior si racconta per Artevarese.

Quanto c'è dell'arte di suo padre nelle sue opere?
"L'influenza maggiore che si riscontra nelle mie opere, rispetto a quelle di mio padre, è il fatto di poter cogliere le atmosfere anche cambiando l'attitudine, nel senso che, avendo dipinto insieme a mio padre, ed essendo mio padre un ottimo pittore e veloce anche nell'esecuzione, mi ha insegnato gioco forza ad essere rapido nel cogliere le emozioni, i cambiamenti di luce e di atmosfera, rispetto ai luoghi in cui mi trovo."

Il suo è un giro del mondo attraverso il taglio della pittura en plein air. Quanto è attuale ancora questo modo di dipingere?
"Devo dire che, in effetti, di pittori en plein air ne vedo pochi, sono tutti fossilizzati negli studi. Diciamo che, qualche volta, anche io dipingo in studio, non dipingo solo en plein air, soprattutto quando elaboro quadri di memoria riferiti a certe sensazioni particolari, o quadri riguardanti scene di ballo. Lavoro anch'io nello studio ed è molto più comodo essere seduti, liberi di rilassarsi. Quando si è en plein air, purtroppo, c'è anche una situazione oggettistica molto difficile, perché devi portarti il materiale, c'è una logistica da dover rispettare per non trovarsi poi ad avere un quadro fresco che non puoi trasportare, quindi devi pensare proprio a tutto. In quel caso devo proprio approntare nei minimi dettagli tutto quello che è necessario per poi non trovarmi in difficoltà sul posto."

Parliamo di frattura. Nello specifico di quelle fratture ricomposte nell'ambito delle sue creazioni: segno distintivo o ribellione?
"E' una ribellione nei confronti di quelli che dicono che la pittura è morta, che la pittura tradizionale non esiste più. E poi c'è anche un senso di ansia, di frustrazione per non vedere riconosciuto tutto il lavoro che hai fatto, che sono un pò le ansie classiche di un pittore, quelle che un'artista si porta inesorabilmente dietro. Inoltre, ho notato che certi quadri, che io abitualmente distruggevo senza lasciarne traccia, una volta "rotti" trasmettevano questo senso di ansia, della crisi che c'è nel mondo, che è quello che la gente sente e si avverte nella nostra vita quotidiana. Poi, al di là della rottura e della superficie, c'è anche la volontà di scavare a fondo nel quadro, un voler far rinascere la pittura dalle sue ceneri. Ho riscontrato che questi quadri acquistassero una forza che non è possibile avere in altre opere. Insomma è qualcosa che, veramente, lascia un segno."