Alberto Pedroli in casa suaAlberto Pedroli in casa sua

Ventitrè anni non sono esattamente una vita. Ma sono abbastanza perché Alberto Pedroli, fra pochi giorni in pensione, possa raccontare dal suo punto di vista uno spaccato sufficientemente esaustivo del quotidiano servizio per conto dell'amministrazione comunale;  perennemente in bilico tra mansioni di tipo burocratico-dirigenziale e quelle di direttore di museo. Tra la necessità del contabile e la voglia sottopelle di lasciare lunga la briglia di amori giovanili. Una seconda vita, questa, mai compiutamente realizzata. E' il 1985, quando l'attuale direttore dei Musei Civici entra per concorso a Palazzo Estense, in qualità fin da subito di capo area, responsabile dei servizi culturali, educativi, sportivi, ambientali. In una sovrapposizione di competenze che lo accompagna fino ad oggi.

Alberto Pedroli, quando diventa direttore dei Musei Civici?
"Quando Silvano Colombo diede le dimissioni; mi trovai ad essere dirigente facente funzioni di direttore. Il concorso per identificare il successore richiese tre anni di tempo. Nel 1992, all'epoca del commissario prefettizio Calandrella, divenni direttore facente funzioni di dirigente".

Il periodo della prima giunta leghista e dell'assessore a sorpresa Enrico Baj. Quali i ricordi di quel periodo e di quel rapporto?
"Baj, splendida persona, era evidente si trovasse stretto nei panni del politico. Si incamminò da subito su progetti arditi. A me toccava il compito di portarlo con i piedi per terra. Su questo, era chiaro, c'era incompatibilità. Ma devo dire che le frizioni erano soprattutto in giunta. Lui era un artista, un creativo, noi no. Lo scontro era inevitabile".

Poi subentra l'era di Ortelli e Gualdoni.
"Fui io a porre il problema all'assessore. Gli dissi che avrei preferito tutto sommato fare il capo area. E chiamò Gualdoni, collega a Brera, già con esperienze di direttore a Modena. Con Ortelli, nonostante fosse anche lui un artista, il nostro rapporto è sempre stato improntato ad un maggior realismo. Con lui soprattutto si cominciò ad impostare un serio progetto museale, la messa a regime della nuova sede a Masnago, di una politica di accrescimento delle collezioni ed una programmazione coerente di mostre".

Con Gualdoni che rapporti c'erano?
"Lui aveva un certa autonomia, ma in particolare il rapporto privilegiato era tra lui e l'assessore Ortelli, ma devo dire anche con il sindaco Fassa, già particolarmente appassionato d'arte".

Qual è la sua versione sulla rottura poi tra Ortelli e Gualdoni?
"Ortelli fece di tutto per essere confermato come assessore. Cosa che il nuovo sindaco Fumagalli non fece. Nel frattempo gli si era anche chiusa la speranza di andare a dirigere l'Accademia di Belle Arti a Villa Toeplitz che sembrava cosa fatta. A quel punto credo che puntasse a dirigere i musei, entrando in conflitto con chi li stava a quel momento guidando".

Dell'assessore Armocida che ricordi ha?
"Lo conoscevo già da prima. Grande stima per lo studioso che è; tra l'altro sua è l'idea di fare di Villa Mirabello una sede esclusivamente archeologica; certo esistevano differenze con il predecessore. Ortelli era un contemporaneista, Armocida seguiva altri interessi. Ma è stata una convivenza breve. Erano gli anni di frenetico turnover, sia alla direzione dei musei che nell'area cultura. A me in quel periodo e fino a fine 2004 venne affidato ai servizi educativi, poi all'organizzazione del territorio, quindi al Sic e il liceo musicale. Cosa avessero in comune ancora non riesco a spiegarmelo".

Poi, infine, il ritorno nel 2004, di nuovo con il doppio incarico. Qual è stato il momento migliore, di migliore attenzione alle politiche museali?
"Più che momenti, la mia impressione è che dai primi anni in Comune sia il metodo di lavorare che è andato peggiorando; in senso complessivo, di organizzazione ma particolarmente per un problema di complessità di procedure. In merito all'attenzione al museo credo che Ortelli sia stato quello che ha posto maggiore cura e competenza, fermo restando che giudico quelli con cui ho collaborato. Ma non possiamo neanche dimenticarci il grande impegno di Silvano Colombo o di un assessore come Caminiti".

Cosa manca ai musei varesini?
"Credo la percezione da parte della città. Varese ha molte figure carismatiche nel campo della cultura, ma ha poca consapevolezza e orgoglio culturale del proprio patrimonio. Forse è refrattaria e indifferente".

C'è qualcosa che lei ha fatto per il museo di cui va fiero?
"Sono orgoglioso delle ultime due mostre, su Guttuso e sul Piccio. Due iniziative portate avanti tra difficoltà crescenti e gestite in proprio, ma dal contributo originale. Lo stesso Crispolti ha apprezzato la scelta".

Il rammarico.
"Forse che non siamo riusciti a fare una cosiddetta grande mostra, ma questo mi sembra più un discorso di marketing; piuttosto il non essere riusciti a fare il catalogo del patrimonio museale. Ma in particolare mi spiace che l'ipotesi di un Museo del Territorio, comprensivo anche delle vecchie sezione di Villa Mirabello, quello risorgimentale per intenderci, sia rimasto lettera morta. Era un tema che mi stava particolarmente a cuore. Il tema che svolsi per il concorso da direttore era proprio su questa questione".

Si è sempre sentito all'altezza del compito o piuttosto ha avuto momenti in cui avrebbe voluto fare un passo indietro?
"Mi sono prestato alla causa, scontando certo una mancanza di preparazione adeguata, un gap di professionalità specifica che non avevo e non ho avuto poi le condizioni di farmi col passare degli anni. Confesso anche che quando feci il concorso era più una scommessa con me stesso, sull'onda dell'entusiasmo per i miei studi artistici".

La cosa peggiore fatta al Museo in questi anni?
"La mostra di Franco Viola; non perché brutta in sé, ma totalmente fuori contesto. Un'eredità di anni precedenti".
Quante volte si è sentito ostaggio di richieste esterne?

"Molte volte, ma ostaggio nella misura in cui non avrei potuto con i miei limiti e le mia capacità dar corso ad un diverso orientamento più coerente, ad una programmazione di mostra più seria e continuativa come è stato per Gualdoni o anche nel caso di Anna Bernardini".

Anche la Sala Veratti, prima di gestione museale, si è persa.
"Su questo non sono del tutto d'accordo. Sono convinto che sia giusto garantire nell'unico spazio che abbiamo principi di sussidiarietà e par condicio a tutte le espressioni. D'accordo anch'io, tuttavia, che ci vorrebbe una qualche forma di selezione".

Il concorso per conservatore: si fa o non si fa?
"I nuovi intendimenti farebbe pensare che si faccia. Con un nuovo presidente di commissione che non sarà il sottoscritto".

Ha visto il progetto per il Sacro Monte. Cosa ne pensa?
"Non sono tra i detrattori. Ma non vorrei che fosse uno di quei progetti "alla Baj". Da riportare sulla terra".