Busto Arsizio 1.jpgIl dramma di un pagliaccio – La strana e paradossale figura del pagliaccio, allegro e malinconico, sorridente e triste, divertente e inquietante, acquista un potente spessore tragico ed espressivo nel capolavoro lirico “Pagliacci”, di Ruggero Leoncavallo.

 

Tratto da una storia vera, l’opera lirica “Pagliacci” descrive, con vivido realismo, il drammatico delitto passionale nel quale culmina tragicamente la storia di una tresca amorosa che ha come protagonista, appunto, un pagliaccio. La storia verrà messa in scena la sera di giovedì 21 febbraio, alle ore 21.00, presso il Teatro Sociale di Busto Arsizio, con il coro del Teatro dell’Opera di Milano e con l’Orchestra filarmonica di Milano, diretti da Damiano Cerutti.

 

L’opera è stata rivisitata, cambiandone l’ambientazione per offrire una prospettiva più modera ed originale della storia: l’allestimento del Teatro dell’Opera di Milano, firmato dal regista Mario Riccardo Migliara e sottotitolato «L’illusione del cinema», porta infatti la vicenda all’interno di uno studio televisivo, alla mercé delle telecamere. La struttura della scenografia mette in evidenza tre luoghi deputati: il set, dove avvengono tutte le situazioni legate alla venuta della compagnia di pagliacci, i gradoni di un anfiteatro, sul quale il pubblico commenta e si muove secondo le istanze di un coro greco, e il retropalco, con la sedia del regista e dei suoi assistenti. Tutto viene reso performance, Busto Arsizio 2.jpgin un equilibrio in bilico tra varietà e reality-show, tra realtà e finzione.

L’opera “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo è una pietra miliare della lirica: ispirato ad una storia vera, narra l’omicidio commesso da un pagliaccio, che per gelosia uccide la moglie e l’amante nel mentre di una rappresentazione di piazza di saltimbanchi e giocolieri.

 

«Opera possente, di una rara intensità espressiva, degna di occupare un posto d’onore tra i grandi capolavori dell’arte lirica»: Così il direttore e compositore franco-polacco René Leibowitz, primo storico della dodecafonia, descrisse “Pagliacci”, dramma in un prologo e due atti del quale Ruggero Leoncavallo compose libretto e spartito, in soli cinque mesi, sulla scia del successo di «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni, opera del maggio 1890 che segnò il debutto del genere verista, con i suoi soggetti desunti dalla quotidianità e i suoi personaggi di estrazione umile, nel teatro musicale italiano.

“Pagliacci”, che deve la propria ampia popolarità anche alla prima incisione discografica, quella del 1904 con l’indimenticabile tenore Enrico Caruso, trae spunto da un fatto d’amore e di sangue realmente avvenuto a Montalto Uffugo, in Calabria, nel 1865 (gli atti del relativo processo penale sono conservati presso l’Archivio di Stato di Cosenza). Si tratta, per la precisione, di un delitto di gelosia, accaduto tra la folla, che il padre del compositore, l’avvocato Vincenzo Leoncavallo, seguì, in una prima fase, come giudice.

 

Lo stesso autore ricordò, in una sua inedita autobiografia, l’avvenimento all’origine di questa sua celebre opera: «Il giorno della festa […] facevano bella mostra di sé […] dei carri di saltimbanchi. Questi -ebbe a scrivere Ruggero Leoncavallo- tenevano le loro rappresentazioni all’aperto alle 23 ore, cioè dopo il tramonto […]. Accorrevano così a centinaia gli spettatori, fra i quali eravamo assidui io e mio fratello. Lo spettacolo ci divertiva un mondo, naturalmente, ed allo stesso Gaetano [un servitore di famiglia, nell’opera il contadino Silvio, ndr] non pareva vero di condurvici, perché si era innamorato, e non senza fortuna, di una bella donnetta della truppa di saltimbanchi. Ma il marito, il pagliaccio della compagnia, aveva concepito dei sospetti […]; finché la sera della festa di mezz’agosto, durante una delle solite rappresentazioni a base di Arlecchino e Colombina, mentre la moglie era in scena, andò a frugare nei suoi vestiti e vi trovò un bigliettino […]. Il pagliaccio […] non seppe frenarsi e, appena calata la tela, piombò sulla moglie con un coltellaccio e le tagliò quasi netto la Busto Arsizio 3.jpggola, senza che l’infelice avesse il tempo di emettere un sol grido. […] Si accostò, poi, a Gaetano con un riso gelido che non dimenticherò mai […] Gaetano stramazzò al suolo colpito dal medesimo coltellaccio di cui poco prima era caduta vittima la sua amante».

 

Nel prologo del dramma, quasi un manifesto programmatico del teatro musicale verista, uno dei suoi personaggi, Tonio, annuncia, che: «l’autore ha cercato di pingervi uno squarcio di vita» e per questo «al vero ispiravasi» e «con vere lagrime scrisse» questa storia con «uomini in carne ed ossa», nella quale «vedrete amar sì come s’amano gli esseri umani; vedrete de l’odio i tristi frutti. Del dolor gli spasimi, urli di rabbia, udrete, e risa ciniche».

 

L’opera, la cui dimensione meta-teatrale del secondo atto e il cui scambio «tra finzione e verità» anticipano esiti pirandelliani: «si contraddistingue -scrive la musicologa Maria Giovanna Miggiani– per la vocalità accesa e convulsa, con rapide escursioni verso l’acuto per rendere l’andamento di un discorso agitato, di sentimenti scoperti e privi di controllo. La scaltrita scrittura di Leoncavallo si avvale di elementi di modernità, come la continuità orchestra-palcoscenico di matrice wagneriana, ma recupera anche l’uso dei pezzi chiusi come romanze e duetti d’amore, dalle melodie cantabili di forte suggestione (con il conio di frasi memorabili come «Un nido di memorie», «E voi, piuttosto», «Ridi pagliaccio»)». 

Ispirato ad una storia vera, un delitto passionale avvenuto nel 1865 che ha coinvolto un pagliaccio e sua moglie, l’opera lirica di Ruggero Leoncavallo è in scena al Teatro Sociale di Busto con una nuova ed originale ambientazione.