Livio BorghiLivio Borghi

L'urlo e la denuncia – Lui, la sensibilità 'ecologica', l'aveva in tempi non sospetti. Quando, allora giovane pittore figurativo, intitolava le sue opere Alla ricerca del verde perduto. Erano figure di ragazzi con in mano grappoli d'uva, o altri frutti. Non avevano la malizia e l'ambiguità dei bacchini di Caravaggio, ma la precisa consapevolezza di un'inversione incontrollabile del rispetto verso la natura. Anni dopo, Livio Borghi, aggredì ancor più polemicamente il problema. "Erano gli anni delle prime discariche – ricorda – a metà degli anni sessanta. Si facevano, con una certe leggerezza, senza bonificare il terreno, senza impermeabilizzarlo, in vecchie cave o luoghi di simili. Anche dalle nostre parti, nel Varesotto, spuntavano all'improvviso cumuli di rifiuti. Mi ribellavo a questo spettacolo. Documentavo la crescita di questi luoghi, con un bianco e nero aggressivo e con la pittura che era il corrispettivo di una denuncia. Era la fase dell'urlo".

Lo spazio congruo
– A distanza di quasi quarant'anni, il problema vive ormai una sua certa virulenza; da preoccupazione periferica e laterale sta assumendo gli aspetti di un'urgenza concreta e quotidiana. L'arte di Livio Borghi, pionieristica allora, ha conservato febbrilmente la sua fedeltà e adesso non corre il rischio di volersi trovare al posto giusto nel momento giusto. C'era già. E la mostra che va ad inaugurare nello spazio della Casa Bioecologica di Busto Arsizio, non fa altro che confermare quanto certe sue ossessioni, magari ingenue degli inizi, siano confermate dall'attualità. La stessa scelta dello spazio, intanto: "Uno spazio – spiega – che è predisposto al rispetto dell'ambiente, alle tematiche legate ad un uso intelligente delle risorse, del riscaldamento, dell'utilizzo dell'acqua".

Sera tinta di gialloSera tinta di giallo

Ecce homo al tramonto – Dalla fase dell'urlo, Borghi ha poi aggiustato il tiro, cercando di porre in atto sotto la traccia della denuncia anche il momento della proposta: una proposta sempre rivolta in chiave lirica, estetica, non programmatica; fino ad oggi, quando la sua sensibilità allertata ha partorito una nuova forma di riflessione sul tema: gli Ecce Homo, ambientati come sua abitudine nel contesto della natura. Una natura brulla, autunnale, colorata ma morente. Qui, Borghi fissa con la fotografia la sua ombra; a fianco l'arbusto esangue, la foglia o il fiore a proiettare la propria ombra accanto a quella sua; e ancora di fianco l'elaborazione al computer della presenza vegetale, in modo che la sua artificialità venga rimarcata.

Tempi slavati
– Una sintesi di tutta la sua riflessione: "In fondo quello che ho sempre cercato di realizzare è fare uscire il pittore dalla sua tela. Farlo uscire e farlo vivere nell'ambiente che lo circonda. Farlo convivere con la natura e con la tecnologia, trovare un punto di equilibrio; sapendo che l'ambiente va tutelato e la tecnologica e il progresso che si porta dietro non vanno demonizzati. Anche se siamo in un passaggio epocale e i rischi di farsi trascinare via in questo momento sono altissimi". Come i suoi segni lavati, piccoli lavori cartacei, immersi nell'acqua che scorre. Una parte di colore resiste, si accende cromaticamente, il resto viene slavato e cancellato.