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Ad osservare le opere in mostra si comprende meglio la celebre affermazione di Eduarda Emilia Maino (Milano, 1930-2004), in arte Dadamaino, eclettica protagonista del dopoguerra, vicina – già a partire dalla fine degli anni '50 – al gruppo degli spazialisti italiani e alle gravide sperimentazioni di coevi movimenti internazionali: "Dopo avere ritagliato le tele sino a lasciare solo quasi il telaio (1958) ho iniziato a razionalizzare il mio lavoro, creando un ordine, peraltro connaturato alle opere stesse. Ma sempre, trovato un metodo, l'ho sviscerato e scomposto per verificare delle possibilità più aperte che mi hanno portato a nuove ricerche. Ed infatti, il mio lavoro verte essenzialmente sulla ricerca. Ho ripreso carta e colori ed ho disegnato, a volte irrigidendomi ed allontanandomi dal problema, a volte girandoci attorno. Ero assai scontenta di questa incapacità di uscirne nel modo giusto, che non sapevo quale fosse, ma che intuivo non lontano. Ho continuato a lavorare con più accanimento fino a scarnificare la ricerca a sole linee, perché intravedevo che quello che cercavo era anche una specie di profondità che non doveva evidenziarsi con la prospettiva, ma con un risultato piano".

Attraverso una ventina di opere, di medio e grande formato, la galleria Dep Art di Milano rende omaggio alla figura e all'opera di questa singolare protagonista dell'espressione creativa più vicina a noi. Una trina di segni, un reticolo infinito, creato in base al ritmo, una sorta di scrittura della mente che, come mercurio liquido, appare in continuo movimento. Il tiralinee, come l'autrice ha più volte ammesso, è stato il solo strumento guida, l'unica e fedele penna, il calamaio personalissimo e studiatissimo, l'aratro (sul cartaceo campo bianco) che ha permesso la ricerca dell'autrice. L'esposizione, curata da Alberto Zanchetta, mette a fuoco il ciclo del Movimento delle cose, un "macrocosmo" metafisico dove minuti tratteggi si aggregano e si disperdono in un andamento fluttuante.

Così Dadamaino (della quale è esposto al Castello di

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Masnago di Varese uno straordinario "papiro") è riuscita a tenersi ben lontano dalle più trite declinazioni di quel che resta dell'Opt Art, raggiungendo esiti ineguagliati di personale rigore, perfezionismo, determinazione ottenuti "per via di levare", riscaldati, è bene ribadirlo, da una sensibilità umana, da un'esperienza talvolta sofferta, altre volte meditata, da una raffinato senso di leggerezza.

"Non si vive se non nella socialità. Quando ero piccola scoprii che molti miei coetanei solo perché ritenuti diversi, ebrei o zingari, erano stati eliminati dalla faccia della terra sistematicamente. Sentii un forte senso di colpa per essere stata risparmiata, perché solo un caso aveva deciso così. Il caso degli uomini, naturalmente. Sembrava, data la mostruosità dello sterminio, che fosse finita, che si fosse capito che il dolore è nella vita stessa: le malattie che ci piegano, il bisogno, l'ignoranza e che questo fosse quanto da combattere. Lottare perché nel mondo si instaurasse la giustizia dell'eguaglianza. Non si è verificato che sporadicamente. L'estate scorsa seguii angosciata la tragedia di Tall el Zaatar. Si sapeva tutto a priori, ma nessuno ha mosso un dito per evitare il genocidio. E tra gli altri, proprio coloro per i quali da bambina mi ero sentita in colpa di vivere, gli ebrei, immemori della spaventosa repressione subita, contribuivano a permettere il massacro. Scrissi una lettera che indirizzai alle donne di tutto il mondo, affinché lottassero per fermare la strage. Se gli "uomini" non sapevano che proporci "soluzioni finali", che le donne lo impedissero con la forza della loro coscienza diversa. Era mera follia e misi la lettera in tasca. Piena di rabbia e di dolore impotente mi prese un impulso di tracciare segni. Altro non mi era concesso di fare. Feci ossessivamente linee orizzontali e verticali, ripetute fino a riempire i fogli e poiché il dolore esige pudore, alcuni di essi li coprii. Erano lettere, al posto di quella genericamente e semplicisticamente destinata alle donne che esprimevano la mia inane solidarietà, la mia protesta contro la criminale violenza tanto per cambiare sotto il segno della croce".

Dadamaino – Movimento delle cose
Dal 18 febbraio al 30 aprile 2011
Milano, Dep Art
Via Mario Giuriati, 9
Per info.: art@depart.it – www.depart.it
Mostra e catalogo a cura di Alberto Zanchetta
Apparati: Claudia Amato
Progetto grafico del catalogo: Antonio Addamiano, Sara Salvi