E’ la musealizzazione di un museo. Come se fosse la storicizzazione del ’68. E forse il definitivo coronamento di un progetto pervicacemente, capricornescamente inseguito, non senza derogare spesso dalle regole auree di Cartesio. Da qualche settimana è ufficiale.

Il Muel, creatura di Luciano Giaccari, nata ufficialmente nel 1995, nelle stanze meno esposte del Castello di Masnago, troverà finalmente approdo nella nuova sede di Galleria d’arte moderna di Gallarate .

Il museo elettronico “errabondo”, “sperimentale”, “provvisorio”, “in perenne riallestimento”; fin troppo “spinto” per un clima culturale ancora pigrotto come quello varesino; gelosamente troppo privato per  considerarsi patrimonio a tutti gli effetti della città.
Il futuro trasloco sarà di qualche decina di chilometri. Il cambiamento rischierà però di essere ben più sostanziale. Gallarate ha mostrato e non da ieri di nutrire ben più consolidate vocazioni a reggere l’urto della contemporaneità e a volersi sintonizzare con le sue frequenze.

La costruzione della nuova sede, in parte costruzione ex novo, in parte riqualificazione edilizia di un edificio di archeologia industriale, non è che il coronamento di un mezzo secolo e oltre di un lavoro in cui la famiglia Zanella, principalmente, ha tenuto la barra a dritta senza tentennamenti nel proprio tempo e di questo ha tenuto conto, nelle sue più immediate manifestazioni visive ed espressive. Logico che anche un fenomeno come quello dell’archivio Giaccari trovasse una più confacente destinazione dentro questo contesto.

Sono noti del resto i rapporti già da tempo intercorsi tra Emma Zanella e Studio Blu ad esempio, così come anche più di recente iniziative espositive ed altre proposte ugualmente coraggiose per una città che continua a scommettere sulla propria collezione, sul proprio Premio, sul proprio Museo. I contenuti dell’archivio-videoteca del notaio Giaccari sono o dovrebbero essere oramai conosciuti: più di 1000 i titoli relativi ai principali artisti internazionali che dagli anni Sessanta in poi sono stati protagonisti sulla scena trasversale dell’arte, delle arti. Musica, danza, teatro, poesia, performance.

Da Beuys, a Cage, dall’Arte Povera, quando era povera in tutti i sensi, fino a Nam June Paik. Dal teatro d’avanguardia internazionale a quello italiano. Giaccari è stato presente, documentando, e ospitato in alcune delle più prestigiose realtà museali internazionali e nazionali e collaborando con la migliore critica militante.

Chi ha avuto senz’altro un’idea non banale a Varese, è stata l’Università dell’Insubria. Mirando a coniugare il cammino didattico con quello museale ha voluto riallestire il Muel, si era alle soglie del 2000, nella dependance di Villa Toeplitz che allora inaugurava i nuovi corsi di Scienze della Comunicazione.

La contiguità con il mondo universitario è una costante per l’esperienza di Giaccari. Il primo a laurearsi sull’argomento fu, se ricordiamo bene, l’allora giovanissimo pittore di Venegono, Stefano Medaglia , relatore Vittorio Fagone, con un la lavoro intitolato Il video e le arti visuali tra anni settanta e ottanta e l’opera di Luciano Giaccari. Ne vennero altre in seguito,  con Giaccari direttamente correlatore.

Con l’Insubria tuttavia l’intesa totale non si è verifica nei termini auspicati. Alle viste di una possibile convenzione che avrebbe sancito l’”unione di fatto” tra il museo della virtualità e l’università del futuro tutto si è arenato. E il museo elettronico della discordia ha ricominciato il suo destino erratico come l’Ulisse della mitologia.

Ultimo approdo in via Valverde, plesso scolastico appena decentrato; Scientifico, Artistico, scuole medie, in zona stadio. Sempre vicino alle scuole, ma non proprio a quel tipo di circuito che l’artefice visionario della 24 ore di No Stop Theatre organizzata nel lontano 1968 a Luvinate aveva probabilmente in mente. Adesso Gallarate. Un’altra scommessa. Un’altra promessa. Un’altra attesa.