A volte si muore, a volte si uccide.
Sappiamo che di solito la morale della favola è qualcosa del tipo “a volte si muore e a volte si vive”, ma non in MEN, qui non sopravvive quasi nessuno. Tratto dai monologhi della giovane autrice romana Chiara Spoletini, MEN è uno spettacolo di storie al maschile, crude ma soprattutto vere, tratte dalla cronaca nera degli ultimi anni. La regia nella cronaca bagna soltanto il pennello, e poi disegna le urla, le botte, i sogghigni del destino in un modo tutto suo, straniante e sofferente, lirico e violento.
C’è chi muore: ammazzato, naturalmente. Perché? La gente di solito risponde: perché l’omicida ha avuto una scatto d’ira, oppure perché è un criminale… Ma noi non abbiamo chiesto “perché è stato ucciso?”, la domanda era “perché è morto?” E qui cambia tutto, i morti se ne fregano dell’assassino, si chiedono soltanto “perché sono morto? Perché prima la mia carne era calda e rosea mentre ora è un freddo cuoio?” Non è umano rispondere a questa domanda, ma è umano provarci.
C’è chi uccide: esistono storie in cui la vita raggiunge un punto, una soglia del dolore tale che siamo costretti a commettere un atto che cambi tutto. Purtroppo in questo mondo si può tornare indietro da quasi ogni cosa, così per riuscire davvero nell’impresa bisogna implorare la polizia, i tribunali, Dio, insomma chiunque sia irrimediabilmente più forte di noi, quelli “contro i quali non si può nulla”, di prenderci con sé. Perché così siamo liberi, liberi da questa vita, felici di non avere più alcuna possibilità di tornarci.
L’omicidio è la grande rivoluzione di questa gente.

Che il teatro, specchio della società, sia l’arte più socialmente utile è cosa nota. Ma se la società rappresentata è quella di oggi l’utilità raddoppia, e se è descritta da una giovane autrice italiana raddoppia ancora.