Era l'ultimo rampollo di una famiglia di piccola nobiltà originaria di Porto Valtravaglia, sulla sponda varesina del Lago Maggiore. A Varese gli Albuzzi erano proprietari della villa che poi fu del grande tenore Francesco Tamagno, oggi proprietà dell'Ospedale di Circolo. Si sa ancora poco della vita di Antonio Francesco Albuzzi (1738-1802), sconosciuto erudito che abbandona prima di prendere i voti, per ragioni poco chiare, la carriera ecclesiastica tra i ranghi dei Gesuiti. Ignota la sua formazione, soprattutto per quanto riguarda le conoscenze in campo storico artistico che intorno al 1772 gli fanno guadagnare la commissione di quella che si può definire la prima storia degli artisti milanesi mai tentata.
Tre volumi manoscritti sotto il titolo di Memorie per servire alla Storia de' Pittori, Scultori e Architetti milanesi, un progetto monumentale dalle vicende travagliate, lasciato infine incompiuto e che torna oggi in un'edizione annotata impeccabilmente, con apparati ricchissimi di lettere e documenti, che ne permettono una piena fruibilità.

Ne parliamo con lo storico dell'arte Stefano Bruzzese, che ha curato l'edizione critica del volume.

Perchè la sua opera è così importante e perchè le Memorie di Albuzzi rappresentano un testo innovativo?

"E' importante appunto perché rappresenta il primo tentativo di stendere una storia degli artisti lombardi e più specificamente milanesi. Mentre le altri principali città d'Italia andavano da tempo procurandosi degli strumenti di ricognizione storiografica delle proprie scuole artistiche, anche se spesso con intenti campanilistici, mancava una pubblicazione che ripercorresse le biografie dei pittori, degli scultori e degli architetti che avevano contribuito a tracciare la fisionomia della scuola artistica milanese, riconosciuta come tale in un libro a stampa e definita nelle sue linee guida solo nella Storia pittorica della Italia di Luigi Lanzi, uscita in prima edizione nel 1795, diversi anni dopo l'abbandono da parte di Albuzzi del lavoro sulle sue Memorie, rimaste manoscritte".

Può delinearci quale fu la genesi, le vicende e la fortuna critica?
"Albuzzi riceve l'incarico a seguito della rinuncia di Giuseppe Allegranza, erudito e studioso appartenente all'ordine domenicano, professo nel convento di Sant'Eustorgio a Milano, che all'epoca contava già diverse pubblicazioni sulle antichità milanesi. Allegranza era stato cercato per l'impresa dalla corte austriaca, per interessamento diretto di Maria Teresa e tramite il conte plenipotenziario Carlo di Firmian e il principe di Kaunitz von Rietberg, consulente della regina. Questo ci fa capire anche quanto contasse il progetto all'interno delle più ampie campagne di valorizzazione del territorio promosse dall'illuminato governo di Maria Teresa. Firmian, e soprattutto Kaunitz si riveleranno due referenti di grande intelligenza, pronti a dispensare ad Albuzzi, che allora era per tutti un perfetto carneade, consigli su come portare avanti l'impresa in modo da adeguare i criteri della ricerca alle punte più avanzate della cultura europea, in particolare modo di stampo francese.
Incrociando lettere, documenti e il contenuto del testo, mi sono convinto che il varesino abbia lavorato alle sue Memorie in un periodo compreso tra il 1772 e il 1778 circa. Da lì un rapido abbandono e, con i rivolgimenti politici che hanno travolto la Lombardia negli anni a seguire, un immediato oblio del manoscritto, di cui alla morte dell'autore, nel 1802, dovevano circolare più copie. Da questo momento sembra cadere una sorta di maledizione su questo testo, che passa nei decenni successivi tra le mani di illustri conoscitori di cose d'arte milanesi, da Giuseppe Bossi a Gaetano Cattaneo, che riceve incitamenti al lavoro addirittura da Alessandro Manzoni: tutti cercano di completare l'opera e portarla alle stampe, senza riuscirci, nonostante gli sforzi congiunti. Il manoscritto continua a essere citato e a volte plagiato fino oltre la metà dell'Ottocento, quando se ne perdono le tracce. E' stato Giorgio Nicodemi, un tempo soprintendente dei Musei Civici di Milano, a recuperarne una copia nell'immediato dopoguerra, e a pubblicarla a puntate, senza alcun tipo di commento, sulla rivista "L'Arte". Da quel momento chiunque si sia occupato di arte milanese e lombarda ha dovuto fare i conti, in un modo o nell'altro, con il lavoro di Albuzzi".
Parliamo proprio della struttura del libro e a grandi linee quali i contenuti.
"Il manoscritto, venduto alla Fabbrica del Duomo di Milano da Giorgio Nicodemi, è diviso in tre tomi, due di testo e un terzo chiamato "museo milanese" con una raccolta di quarantatré ritratti di artisti, tracciati a matita, al solo contorno, da un certo Giovanni Bagatti, soprannominato il Bagattino probabilmente perché allievo o imitatore del celebre Magatti di Varese. L'entità dei ritratti ci fa capire quale doveva essere l'arco cronologico entro cui comprendere la storia degli artisti milanesi, ovvero dal Trecento, l'epoca della cosiddetta ‘rinascita delle arti' di stampo vasariano, fino alla prima metà del Settecento, con l'esclusione degli artisti ancora in vita. Nei medaglioni biografici che compongono la storia vera e propria, introdotti da un ‘discorso preliminare' di stampo metodologico, Albuzzi è riuscito a coprire solo una parte di questo lungo periodo, arrivando a malapena a sfiorare la metà del Cinquecento. Tante le assenze, i vuoti, che denotano i limiti e i ripensamenti nei criteri selettivi di un lavoro in corso, frutto anche del primo sostanzioso scavo documentario tra alcuni dei più importanti archivi milanesi e non, dalla Fabbrica del Duomo di Milano alla Certosa di Pavia".
Scorrendo le varie biografie, emergono magari dei particolari curiosi circa gli artisti ? O si riesce a far luce su snodi della storia dell'arte lombarda/milanese ancora di difficile soluzione?
"Nei commenti ho cercato di non infilare acriticamente tutto ciò che è stato scritto su un determinato dipinto o su una determinata scultura fino alle pubblicazioni più recenti, ma di creare delle specie di schede anagrafiche, che potessero far capire come è nato il giudizio dell'autore sulle opere citate. Chi ne ha parlato prima di lui? In che termini? Da dove ha tratto le informazioni? Quale era la sua strumentazione bibliografica; quale, dove emerge, il suo rapporto con il manufatto artistico? Entro quest'ottica i risultati più interessanti non riguardano forse le singole opere o i singoli artisti, nonostante le tante piccole acquisizioni emerse dalla ricerca, ma lo sguardo di insieme. Analizzate nel loro contesto storico e culturale, le Memorie di Albuzzi appaiono ora per la prima volta quale testo significativo per valutare come cambia, almeno dall'osservatorio lombardo o meglio milanese, il modo di rapportarsi alla opere d'arte in un periodo molto complesso che registra il lento passaggio dalla cultura degli eruditi a quella dei conoscitori. Ne sono un segnale le lettere di Albuzzi che ho riprodotto tra gli apparati introduttivi, e nelle quali l'autore esprime, negli anni Ottanta del Settecento, quando ormai il manoscritto è chiuso in un cassetto da qualche tempo, i dubbi sul metodo adottato per scrivere le biografie portate a termine. Tanti i documenti venuti alla luce, tante le fonti vagliate, con una fede quasi cieca per le testimonianze scritte. Ora si avverte però il bisogno di un corpo a corpo con le opere d'arte, l'esigenza di strumenti visivi e descrittivi diversi, capaci di adattarsi allo stile, alla pelle, dei dipinti e dei monumenti presi in esame. Albuzzi prova in rari casi a cimentarsi in questo sforzo, e insieme a pochi altri suoi contemporanei getta un testimone che sarà raccolto dalle generazioni successive".

Memorie per servire alla storia de' pittori, scultori e architetti milanesi

Antonio F. Albuzzi
Curatore: S. Bruzzese
Editore: Officina Libraria
Anno edizione: 2015
Pagine: 480 pp.
Prezzo: 35,00 €