Gallarate – Incontriamo Maria Rosaria Iglio, responsabile della comunicazione di Civico 3, che ci parla della mostra fotografica di Silvia Alessi, ospitata dallo spazio culturale in occasione del Festival Fotografico Europeo.

Maria Rosaria puoi raccontarci come nasce la mostra Skin Project proposta da Silvia Alessi al Civico 3 di Gallarate?

Parlare di questa esposizione vuol dire parlare di un progetto, perché è questo che Silvia Alessi ha pensato. Non si tratta di singoli scatti presi da diversi contesti come facevano i fotografi in passato. Oggi si lavora di più sulla progettualità e Silvia ha deciso di lavorare sulla percezione della pelle nel mondo indiano. La pelle è quella degli albini che sono persone emarginate per le loro caratteristiche fisiche, ma è anche quella delle donne che vengono sfregiate con l’acido, un vero e proprio dramma sociale. Troviamo il tema dell’epidermide anche nelle immagini dei lottatori di Kushti, un’antica disciplina di lotta nella terra rossa praticata in vecchie e fatiscenti palestre. In questa mostra vediamo il lavoro che Silvia ha fatto prima ancora di scattare le immagini, interagendo con i protagonisti delle fotografie che vivono realtà difficili. Ad esempio è riuscita a relazionarsi con le donne sfigurate dall’acido, ne è quasi diventata amica. Ci tiene molto a ricordare che è una hair stylist ed è riuscita ad entrare in contatto con le donne iniziando a pettinarle. Non a caso in una foto si vede proprio una mano che accarezza i capelli. Negli scatti non si coglie tanto il dolore di queste donne quanto la fierezza, la dolcezza e la femminilità.

Cosa puoi dirci della sezione della mostra dedicata al disastro di Bohpal?

Silvia è riuscita a fotografare le rovine della fabbrica fantasma di Bohpal (nel dicembre del 1984 si verificò un incidente nello stabilimento chimico della Union Carbide di Bhopal che provocò il rilascio di oltre 40 tonnellate di isocianato di metile ndr). In seguito al disastro che ha inquinato le falde acquifere la popolazione ne ha risentito a livello di malattie molto invalidanti. Silvia ha scelto di fotografare due ragazzi accuditi dalle madri. Uno dei due scatti è quasi una Pietà. Dopo la raffigurazione del disastro, viene rappresentata la malattia per poi lasciare nello spettatore la domanda sul futuro che attende questi giovani dopo la morte dei genitori.

Come è riuscita Silvia a realizzare un progetto, un reportage così accurato?

L’autrice ci ha parlato dei cosiddetti fixer, referenti sul territorio che fanno parte generalmente dell’esercito e che si mettono a disposizione dei visitatori stranieri, siano essi fotografi o giornalisti, per creare una rete di contatti. Come ricordava Argentiero all’inaugurazione della mostra, in queste culture puoi fotografare con il cellulare e nessuno ha da obiettare, mentre non appena vedono la macchina fotografica emerge la diffidenza.

Da un punto di vista tecnico puoi dirci qualcosa delle fotografie in mostra?

Gli scatti esposti sembrano quasi dei dipinti, con colori molto sgargianti, tipici della cultura indiana. Come ha spiegato Silvia, non c’è molto lavoro di post produzione ed è significativo il supporto scelto per le immagini. L’AFI ha scelto di stampare su carta cotone Fine Art, che risulta essere eccezionale su questi colori; in particolare gli scuri e i bruni vengono esaltati.

Aggiungiamo che lo Skin Project è una vera e propria immersione nel mondo indiano, con le sue tradizioni e le laceranti contraddizioni.

L’esposizione proseguirà fino al 22 maggio e sarà visitabile nei weekend nei seguenti orari: 10.30 -12.30 e dalle 15.30 alle 18.30.

Eleonora Manzo