Abbiamo incontrato Alessandro Ubezio, l’artista bustocco – anche se lui ama definirsi artigiano – e curatore della mostra Illusioni di stoffa in corso a Palazzo Marliani Cicogna fino al 3 giugno. Di lui sappiamo che si è diplomato in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera e che nel tempo libero si dedica alla realizzazione di abiti ispirati ad epoche lontane ma creati completamente ex-novo partendo da materiali moderni.

Come sei arrivato a esporre a Palazzo Marliani Cicogna? E che tipo di mostra proponi ai visitatori?

È nato tutto dall’innamoramento che ho per questo Palazzo e che risale ormai a tantissimi anni fa. Ho sempre visto le mostre organizzate in questa sede, ma avendo un animo da scenografo sapevo che se avessi mai realizzato una personale con gli abiti da me realizzati doveva essere fedele alla mia ricerca. Con questa mostra il mio desiderio è stato quello di coinvolgere tutti i sensi. A Palazzo Marliani Cicogna ho voluto creare un’ambientazione più che un’ esposizione. Per Illusioni di stoffa è stato ideato, infatti, un percorso olfattivo: ad esempio nella prima sala si percepiscono il mughetto, essenza alla moda e molta usata nel periodo vittoriano, e l’agrume, considerata fresca e nuova. Verso la fine dell’Ottocento si iniziano, infatti, a sintetizzare le prime fragranze. L’olfatto, a mio avviso, è il senso che in assoluto richiama più ricordi ed emozioni, probabilmente insieme alla musica. Non a caso a corredo della mostra c’è anche un percorso musicale che accompagna i visitatori. Quello che propongo è un vero e proprio viaggio nell’immaginario guardaroba di una donna a partire dal 1865 fino al 1935.

Perché ha scelto di studiare, di approfondire con i tuoi lavori questo periodo storico?

La scelta è stata dettata dallo spazio a disposizione. Mi interessava far vedere una grande varietà di cambiamenti nelle forme della moda. Gli abiti esposti sono stati realizzati, per la maggior parte, in passato. Ho intrapreso, infatti, la mia attività artigiana dal 2000. Mi sono immaginato di mostrare un guardaroba femminile nell’arco di una settantina d’anni: quello che emerge è che se negli anni sessanta dell’Ottocento la donna rappresentava la casata, la famiglia, con la guerra ha iniziato a lavorare e da lì le gonne si sono accorciate e gli abiti sono diventati comodi.

Come è strutturata la mostra?

È stato scelto un andamento cronologico. La prima sala “Donne con le gonne” (1865-1895) mostra il cambiamento evidente nella linea dell’abito: la gonna inizialmente si espande per poi ridursi repentinamente e diventare a campana sul finire del secolo. Il primo ambiente vuole ricordare una sala da ballo; non a caso le musiche scelte sono accordi di piano che rimandano alla danza, ma si è voluto evitare la riproduzione del classico valzer. Nella sala “La donna fiore” (1900-1909) siamo nel periodo liberty, durante il quale la moda dà importanza alle curve. Per raggiungere la desiderata linea ad “S” la donna è strizzata in un corsetto di seta. Il percorso sonoro di questa sala si sofferma sul volo delle rondini a voler ricordare lo sterminio degli uccelli avvenuto fino alla Prima Guerra Mondiale e finalizzato alla realizzazione dei cappelli delle dame. Prima di raggiungere il terzo ambiente della mostra ci si imbatte nella Poupee a la mode, una bambola che esiste dal Settecento fino al tardo Ottocento che veniva mandata dalle case di moda in giro per fare vedere qual era la moda corrente. Ho voluto rendere omaggio a questa sorta di prima mannequine con la mia Poupee realizzata con tutti i campioni di stoffa, di ricamo di tutti gli abiti della mostra. Nella sala de “Il verticalismo degli anni dieci” (1910-1925) emerge come dapprima la moda sia influenzata dai “Balletti russi” (pensiamo all’orientalismo proposto da Paul Poiret) per lasciare poi spazio al verticalismo della figura. Per questo ambiente sono state scelte note di vetiver, essenza tratta da una radice orientale essiccata e intrecciata per fare dei cesti. L’ultima sala “Il glamour” (1930-1935) raccoglie abiti più aderenti al corpo a segnare il ritorno ad una femminilità più accentuata. Per ricordare il make up delle dive degli anni Trenta è stato scelto un odore di borotalco e cipria.

La lavorazione di un singolo abito quanto dura?

Se volessi fare un calcolo bieco di tempo, quella che io chiamo la costruzione di un abito dura due mesi, due mesi e mezzo. Nello specifico, però, per questa esposizione il lavoro di ricerca e di recupero dei materiali è durato complessivamente un anno. Parlo in particolare di costruire perché non riproduco abiti esistenti, non ho modelli da interpretare, cerco di entrare nello spirito dell’epoca che studio. La mia ambizione è di consegnare agli occhi di chi guarda il vissuto di un abito, quasi come fosse stato ritrovato in un baule. La realizzazione di un abito parte sempre dal tessuto, da una stoffa di cui mi innamoro e che acquisto perché mi ricorda qualcosa.

Quello che rimane di questa esposizione è la permanenza in un mondo altro, lento, ovattato. Alessandro Ubezio riesce a farci riscoprire i sensi e farci riappropriare di un tempo interiore. Cosa rara.

Illusioni di stoffa a Palazzo Marliani Cicogna fino al 3 giugno

Martedì – Giovedì: 14.30-18.00 – Venerdì 9.30-13.00 e 14.30-18.00
Sabato 14.30-18.30, domenica 15.00-18.30 Chiuso il lunedì

Eleonora Manzo