Segnato sin dal titolo il destino della protagonista.
Un sacrificio non fine a se stesso bensì maturato dopo un percorso morale e politico elaborato nel corso di vicende legate all’occupazione nazista nel nostro paese ben sorretta dal meschino servilismo fascista.

“L’Agnese va a morire” (Einaudi, pp. 342, Euro 13,50) di Renata Viganò nasce dall’esperienza diretta dell’autrice e dalla sua attiva adesione alla lotta di Resistenza nelle Valli del Comacchio.
Quella di Agnese è una presa di coscienza lenta ma inesorabile che va dall’istintivo rifiuto verso le prepotenze nazifasciste alla clandestinità tra le file dei partigiani.

Due i fatti che la porteranno ad agire in prima persona: la deportazione del marito verso i campi di concentramento, dove non arriverà mai poiché la morte lo coglierà durante il viaggio e l’uccisione del suo gatto, ultimo legame con la quotidianità, da parte di un tedesco ubriaco.
Cedendo ad eccesso di rabbia, Agnese colpirà il militare alla testa uccidendolo, tale atto la porterà ad aggregarsi alle formazioni partigiane operanti nella zona.

Dopo i primi momenti di spaesamento Agnese diventerà per i combattenti una figura alla quale affidare imprese sempre più ad alto rischio.

Il suo sacrificio assumerà valore simbolico per una intera comunità rappresentando la volontà di non rimanere inerti di fronte alle violenze delle dittature.

Giuliano Montaldo nel 1976 ne fece una riuscita versione cinematografica affidando l ruolo di protagonista a Ingrid Thulin che incarnò con esemplare misura il ruolo di Agnese.

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“L’Agnese va a morire” – Einaudi, pp. 342, Euro 13,50)

Mauro Bianchini