85 anni, passo svelto, occhi vivaci, battuta pronta. Aldo Lado, regista e sceneggiatore di culto (suo il tosto e sanguinolento “L’Ultimo Treno della Notte“), si reinventa scrittore prolifico, tanto da sfornare 4 volumi in meno di 3 anni.
Ex regista, di un cinema sanguigno, politico, incattivito da quegli anni ‘70 che grondavano piombo, conflitti e tensioni ad ogni fotogramma, ha all’attivo una quindicina di film diretti. Tra la ricca filmografia spicca il famoso ed inquietante “L’ultimo treno della notte”, e molte sceneggiature e poi, di recente, una seconda vita da autore di racconti e romanzi abbracciata per due grandi passioni, quella per le donne e quella per il pubblico.

Matteo Inzaghi lo ha incontrato a Giallo Ceresio, cui ha partecipato con due opere (una è il romanzo “Il Mastino“, firmato con lo pseudonimo George B. Lewis). Ne è nata una frizzante chiacchierata su passato, presente e futuro.

«Superati gli 80 anni mi sono detto: e adesso cosa faccio da grande? Ho pubblicato nel 2016 e in seguito, durante le presentazioni, ho conosciuto il pubblico, cosa che non mi era mai capitata facendo i film. Quando fai film non sei in sala con il pubblico. Adesso, invece,  partecipando a molti festival, restrospettive, ultimamente anche a Vienna a fine agosto, è nato un rapporto con il pubblico che prima non c’era. Inoltre ho scoperto che il pubblico di lettori è soprattutto femminile e, siccome le donne mi sono sempre piaciute, ho deciso di fare da grande lo scrittore».

Il suo protagonista è un vero e proprio “mastino” che posso immaginare in qualche seguito, ci sarà un sequel?
«Non lo so, è un po’ difficile perché quando giravo film ho sempre cercato di farne diversi, storie diverse. Anche adesso ho pubblicato quattro libri in tre anni, oltre ai racconti che sono usciti, tra i quali un divertente giallo surreale intitolato “Un pollo da spennare” e uno che si intitola “I libri che non vedrete mai”; quest’ultimo è una raccolta di storie che scrivevo tra gli anni ‘70 e ’90 secondo i cambiamenti di gusto del pubblico, che un giorno volevano i western, un giorno i gialli, un giorno i film di sesso. E allora io scrivevo, poi qualche film lo facevo e qualche film no. Infine ho scritto l’ultimo che ho pubblicato adesso, da poche settimane, intitolato “L’hotel delle cose».

Come regista: io porto nel cuore “L’ultimo treno della notte”; mi parla brevemente di quel ricordo in cui c’era un po’ di Bergmann e tanto altro?
«Quel film è nato in modo curioso perché un produttore mi ha chiesto di scrivere un film “Revenge”, un genere che andava in America: storie in cui c’è un’aggressione e segue la vendetta; ad un certo punto, cercando un ambiente chiuso e pensando al treno, ho avuto l’idea. Ho sempre cercato e cerco ancora adesso. Tu hai detto “il mastino” e sai che c’è sempre qualcosa che lega alla società, al sociale, al presente. Ho voluto fare un film in cui la borghesia si scatena: da un lato con il personaggio di Macha Méril, che si serve di due poveri emarginati un po’ cialtroni per sviluppare le sue fobie, i suoi fantasmi, le sue cattiverie; dall’altro, ancora peggio, con il personaggio interpretato da Salerno, che è la persona perbene, l’intoccabile, il grande borghese che compie una vendetta violentissima. Quando si scatena Salerno, siccome trovo che la controviolenza sia un aspetto tremendo della società, ho fatto schizzare il sangue dappertutto. Questi sono i ricordi. Quando, alcuni anni fa, la Cinémathèque francese ha fatto una serata in mio onore proiettando “L’ultimo treno della notte”, il direttore mi ha chiesto come avessi fatto a girare un film così politico nell’Italia di quegli anni. Gli ho risposto per due ragioni: la prima, perché sono velocissimo e l’ho girato in 25 giorni; la seconda, perché il mio produttore era sempre alla rincorsa delle cambiali che aveva firmato per cui non si è accorto del film che giravo».

La Redazione