Se il deserto in epoca faraonica rappresentava un enorme scrigno di sabbia da cui trarre grandi ricchezze, in un passato più remoro, quando le condizioni climatiche e amientali erano ben diverse, fu un luogo ricco di fauna e abitato da popolazioni di cacciatori. Popolazioni che ci hanno lasciato, a testimonianza del loro passaggio, dei graffiti rupestri eccezionali per qualità, fattura e bellezza.
Qui nei primi anni Ottanta i fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni intrapresero una spedizione denominata "Fiumi di pietra", allo scopo di continuare l'esplorazione del bacino sahariano dell'uadi Bergiug iniziata a partire dalla metà dell'Ottocento da esporatori e studiosi tedeschi. Nel corso della missione scoprirono alcuni tra i migliori esempi dell'arte parietale preistorica, le cui copie sono esposte nella Sala dei Graffiti del museo Castiglioni a Villa Toeplitz di Varese.
"Quando siamo scesi la prima volta in questa zona – racconta Angelo Castiglioni – ci siamo accordi che l'escursione termica spezzavano le rocce, e questi graffiti cadevano a terra e si sgretolavano. Allora ci siamo domandati: perchè non mantenerne il ricordo? Perchè non fare in modo che questa pagina di arte preistorica rimanesse nel tempo? Per la prima volta al mondo, con una resina appositamente preparata, fu possibile realizzare il calco dei graffiti più importanti, in modo da ottenere una documentazione precisa di queste opere d'arte preistorica, rendendo in tal modo possibile sia agli studiosi sia a un pubblico più vasto la conoscenza di un patrimonio non facilmente raggiungibile".
Centinaia di graffiti, come quadri di una pinacoteca all'aperto, mostrano un mondo scomparso: attività pastorali, grandi animali, scene venatorie con "trappole preistoriche", rituali religiosi, sono incisi sulle pareti, quasi l'uomo del passato avesse voluto tramandare fino a noi il ricordo della sua esistenza.
La mente dell'uomo preisotico non concepiva una netta divisione tra arte e realtà. Raffigurando un soggetto, egli credeva di acquisirne su di esso un potere magico che gli permetteva di controllarlo e conquistarlo. È infatti nella rappresentazione dei grandi animali e dunque nella magica possibilità di di possederli e dominarli, che si manifestò la prima attivià artistica dell'uomo dell'età della pietra.
Le tecniche di esecuzione sono molto accurate: il solco, inciso con una pietra dura e aguzza, è profondo e liscio e, qualche volta, la superficie è accuratamente levigata, attraverso una pietra o forse anche della sabbia, pazientemente strofinata sulla parete rocciosa, fino ad elimiare qialsiasi asperità.
E' il caso, per esempio, di un graffito che raffigura un bovino: "Ha la superficie completamente lisciata – spiega Angelo Castiglioni- ma la cosa interessante è che ha il giogo, quindi è addomesticato, e tra le corna presenta una specie di ovoide appena accennato. Quando abbiamo fatto questo calco e l'abbiamo mostrato al professor Graziosi, che allora era direttore dell'Istituto di Preistoria e Protostoria di Firenze, ed ha detto che questo è il bue api dell'iconografia egizia. Quindi sta a dimostrare che la cultura religiosa egizia non è nata in modo autoctono sul Nilo, ma è stata portata dall'esterno. Queste popolazioni, che naturalmente di fronte all'avanza del deserto, dovevano andare a cercare l'acqua, sono andate verso il Nilo, e la loro cultura si è mischiata alla cultura egizia. Ecco che questo è una raffigurazione del dio api. Il deserto ha scacciato gli uomini, gli uomini sono andati sulla valle del Nilo e hanno portato le loro credenze religiose".
Sono rappresentazioni uniche che trovano difficilmente riscontro in altri graffiti africani. Nei tratti, la spontaneità e l'immediatezza dell'esecuzione si mescolano a una sorprendente precisione dei particolari e a un dinamismo ante-litteram, come nel caso della raffigurazione dello struzzo.
Così si legge dal diario della missione: "Osserviamo con attenzione un graffito di struzzo, catturato in una trappola (rappresentata dal cerchio intorno all'animale), inciso su una parete di arenaria. Contiamo le teste e i lunghi colli, sono sei. Quindi sono sei gli struzzi imprigionati. Osservando con più attenzione nasce però il dubbio che si tratti di un solo animale: se le teste e i colli sono sei, le zampe son soltanto due. Dunque un unico animale che il cacciatore preistorico avrebbe rappresentato con molteplici teste per evidenziare i rapidi movimenti dell'animale intrappolato alla ricerca di una via di scampo. Un comportamento che abbiamo visto in Cameroun. Uno struzzo prigioniero in un recinto cercava la zona di fuga fermo sulle zampe ma con la testa in continuo movimento. La scomposizione dell'immagine è sovente presente nei quadri di questo pittore futurista. Nel suo quadro "Dinamismo di un cane al guinzaglio", sono rappresentate diverse immagini della coda e delle zampe di un cane. Giacomo Balla diceva che "le cose in movimento si moltiplicano". Lo stesso "artificio artistico" è stato applicato anche da un cacciatore preistorico in un altro graffito del uadi Geddis. Si nota un'antilope, che sta per entrare in una trappola, rappresentata con le zampe anteriori "in movimento".