La formula magica – "Pop Art americano + Espressionismo tedesco + Realismo/Rinascimento italiano = Rod Dudley", scriveva pochi anni fa Daniela Boito riassumento quasi matematicamente la formula illogica dell'arte dell'australiano, varesino ormai d'adozione da quasi quarant'anni. Ma si potrebbero aggiungere altri addendi alla somma; a cominciare dal rapporto con Ico Parisi, austero e insieme divertito, architetto designer con cui il nostro condivise un'esperienza alla Biennale di Venezia a metà degli anni Settanta e che gli spalancò dalla galleria milanese della moglie un circuito virtuoso di ammiratori e collezionisti; o risalire ancora nel tempo alle prime influenze nelle austere aule di Brera, con la conoscenza della scultura di Marino Marini e di Alik Cavaliere, suoi primi maestri in Italia.

Quegli stranieri così ironici – Quelle aule della cui cupezza tutto si può dire fuorché che rattrappisca, anche nel tempo lungo, la joy de vivre di artisti che prendono ironicamente sul serio la vita e l'arte, e nell'arte raccontano con il sorriso sulle labbra piccole e grandi icone divertite e spesso ficcanti; pagine di quotidianità, traendo come saggi il succo del grottesco e della battuta fulminante. Una caratteristica questa che accomuna alcuni degli artisti capitati dalle nostre parti e provenienti da culture diverse. E' il caso ad esempio di Dietrich Bickler, tedesco da tempo a Cardana di Besozzo, o di Pierre Lindner alsaziano, sempre a Besozzo, e appunto di Dudley, austrialiano ammalato d'amore per il Rinascimento italiano, così come dell'espressionismo ante litteram di Bosch.

Rod con un suo lavoroRod con un suo lavoro

La prima volta a Varese – Dudley è in mostra, dopo una lunghissima serie di apparizioni in luoghi meno riconosciuti, almeno in provincia, in Sala Veratti, ultima del trittico voluto da Luciana Schiroli e Franco Prevosti e che ha visto protagonisti sia Loris Ribolzi che i fratelli Stella e Riccardo Ranza. Le sue figura totemiche, alcuni quadri e i nuovi lavori "che mi stanno aprendo una via futura" racconta: i bassorilievi, prima realizzati in vetroresina, da qualche tempo in legno, il "gruppo neoliberty", li chiama Dudley, per quella loro vivacità floreale ed elegantemente stilizzata che ha desunto dalle atmosfere della Secessione e che aveva già sperimentato quando decorò il frigorifero Side by Side per la Notte Bianca varesina.

Il bello del fare
– E' davvero una miscela variegata la sua: non solo l'impronta biomorfica della scultura di Henry Moore che il giovane Dudley apprese in gioventù in Australia dal suo primo insegnante. La figurazione che lui cercava e per la quale è arrivato in Italia come in un terra promessa, tocca anche gli ambiti dell'arte popolare statunitense. "A volte – dice – guardando i miei lavori mi sembra di rivedere certi oggetti in legno fatti artigianalmente nella provincia americana, gli spaventapasseri, i soldatini, ad esempio". E' l'idea del fare, soprattutto che gli piace. "Amo il bel fare, il fare arte, ma fatta bene anche dal punto di vista tecnico".

Puritano – Ed è quello che chiede in particolare al suo pubblico. "Vorrei per prima cosa che apprezzasse la qualità del buon lavoro". Solo dopo ne intuisca la verve critica fatta da un artista ricco di bonomia che non ha dimenticato le sue origini protestanti e in fondo puritane. "C'è della critica in quello che faccio: la donna, ad esempio, per me inizialmente aveva anche delle connotazioni da feticcio sessuale. Invecchiando adesso non è più tale, ma per me la  figura femminile è l'incarnazione del lusso e del consumismo molto spesso immorale. Talvolta le accompagno ad un cane che invece mi rappresenta l'innocenza".

Critico ma anche autocritico
– I suoi primi insegnanti d'arte, racconta ancora, costringevano gli studenti a dimenticare il bello. "Io stesso utilizzavo materiali di riporto, come la plastica, preferendola ad altri materiali più affascinanti. Invecchiando sento anche il bisogno invece di riscoprire il bello, di accarezzarlo. Continuando a leggere in modo critico quello che non approvo, ma senza esagerare con il grottesco. In fondo il mio sense of humour è australiano. E noi australiani, rispetto, agli inglesi, siamo anche molto più capaci di autocritica". La tolleranzana e l'ironia bonaria di chi non ha mai avuto un impero dietro le spalle.

Rod Dudley, un australiano in città
Sala Veratti
dal 29 marzo al 13 aprile
inaugurazione sabato 29 marzo ore 17.30
a cura di Luciana Schiroli
orari: da martedì a domenica 10-12.30/14.30-18.30
info: 0332-255284