Giorgio de Chirico, Le Muse inquietanti, 1918Giorgio de Chirico, Le Muse inquietanti, 1918

Può un gruppo di giovani obbligati ad arruolarsi trovare l'energia, lo spirito e la volontà per rispondere con un linguaggio nuovo agli orrori della Grande Guerra? Sì, se in loro abita il desiderio di conoscere non il modo migliore per avere la meglio sul nemico, ma nuove vie per cercare di riattivare ciò che sembra inesorabilmente morire sotto le bombe, nelle trincee accanto ai cadaveri dilaniati dai colpi di quelle armi che hanno trasformato l'eroica fanteria del 27° reggimento in una drammatica carneficina.

E quella straordinaria motivazione, quello spirito di rivalsa e di ribellione al dilagante passivismo che inibisce la mente raziocinante dei giovani chiamati o, meglio, obbligati a combattere, trova corpo e anima proprio in un gruppo di artisti che condividono giorno dopo giorno un progetto di rinnovamento culturale.

La mostra De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie curata da Paolo Baldacci e da Gerd Roos racconta proprio con l'innovativo codice pittorico della "scuola metafisica" le intenzioni, gli obiettivi, gli sviluppi di una ricerca nata dall'esperienza artistica di Giorgio de Chirico e poi condivisa con altri pittori, scrittori, poeti, musicisti di quegli anni sia in Italia che in tutto il resto dell'Europa.

Qui il lettore può trovare un assaggio di quell'esperienza estetica tutta da vivere, che una mostra d'arte di alta qualità e altrettanto notevole valore culturale sa offrire non solo agli appassionati d'arte, ma a tutti coloro che coltivano in cuor loro una speranza di rinnovamento civile, in cui la consapevolezza della illogicità delle manifestazioni del nostro mondo sociale possa creare momenti di profonda riflessione critica, etica ed estetica.

Il contesto. A Ferrara, tra il 1915 e il 1918, gli anni di quella che fu considerata dagli storici la Grande Guerra per la dimensione "europea" del conflitto, i fratelli de Chirico e Carlo Carrà con il prezioso sostegno di Filippo de Pisis avviarono ufficialmente la "Pittura Metafisica". Giorgio de Chirico (Volos-Grecia, 1888-Roma 1978) e suo fratello Andrea (in arte Alberto Savinio, Volos-Grecia 1891-Roma 1952) avevano lasciato Parigi nel maggio del 1915 per essere arruolati nell'esercito italiano: incombeva su di loro l'accusa di diserzione e, dopo essersi sottratti al servizio militare poco prima della guerra rifugiandosi a Parigi, decidono di rispondere alla chiamata alle armi dello Stato Italiano proprio quell'anno.

Servire nell'esercito garantiva non solo un passaporto in regola, ma anche un senso di appartenenza nazionale, cosa che l'infanzia trascorsa in Tessaglia, il periodo di formazione in Baviera e la recente carriera parigina non avevano concesso loro. Insieme lasciarono le scene internazionali, Giorgio per la pittura e Savinio per la musica e la saggistica, per arruolarsi nel 27° reggimento di fanteria italiano e raggiungono Ferrara. Nonostante l'attività puramente amministrativa riservata ai fratelli de Chirico, Giorgio nel 1917 viene ricoverato a Villa Seminario, un nevrocomio fuori Ferrara.

Qui il pittore continua la sua ricerca metafisica già avviata a Parigi (prima fase metafisica con L'enigma dell'oracolo, L'enigma di un pomeriggio d'autunno, L'enigma dell'ora tra il 1908 e il 1910 e La nostalgia del poeta e Il viaggio senza fine del 1914) e rivisitata durante il suo soggiorno a Ferrara (seconda fase metafisica con I giocattoli del principe, I progetti della fanciulla, L'angelo ebreo, Nature morte evangeliche, Il sogno di Tobia e gli Interni metafisici tra il 1915 e il 1916).

Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, 1917Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, 1917

L'arte metafisica, che viene delineandosi in questi anni della Grande Guerra, risolve se stessa nella contemplazione intellettuale della grande pazzia del mondo, mentre formula un ammonimento classico su come intelligenza e ragione possano rendere esplicito il caos ma anche dominarlo nella creazione artistica, attraverso fili psicologici dell'ironia e quelli messi a disposizione da un vasto retroterra di letture: lo stesso Giorgio de Chirico si definisce "un uomo dall'immaginazione potente e dalla testa farcita di letture" e le sue preferite appartenevano al pensiero di Nietzsche e di Schopenhauer, ai testi della Bibbia dei Settanta (la versione greca della Bibbia ebraica) e dell'Antico Testamento, ma anche ai contemporanei Guillaume Apollinaire, Ardengo Soffici e Giovanni Papini.

Lasciate momentaneamente le esperienze estetiche tanto affascinanti quanto nostalgiche delle Piazze d'Italia e delle sue statue silenziose poste al centro, egli desidera immergersi nell'analisi della pazzia che caratterizza il suo presente: aveva ben chiara l'assurdità di quell'ecatombe e decide di affondare lo sguardo nel microcosmo materiale del quotidiano. Carlo Carrà (Quargnento-Alessandria 1881-Milano 1966) a partire dal 1917, proprio durante il suo ricovero a Villa Seminario, condivide con l'amico de Chirico queste riflessioni e, reduce da un coinvolgimento futurista che poco riusciva ancora a offrirgli, avvia una nuova ricerca.

A Ferrara Giorgio de Chirico s'immerge poeticamente in un mondo di antiche magie in cui convergono sapienza biblica e talmudica, kabbalah, pensiero mitico greco mediterraneo delle età prelogiche e simbolismi del cristianesimo primitivo e da questo mondo emergono le costruzioni totemiche che assemblano iconografie ebraiche e cristiane, psicologia weiningeriana delle forme geometriche e residui figurativi di simbologie comuni alle antiche civiltà mediterranee e del vicino Oriente, dai Caldei agli Egizi e dai Babilonesi agli Etruschi. Queste costruzioni totemiche anticipano il Merzbau di Kurt Schwitters e convergono proprio nell'autunno del 1917 nel totem manichino del Grande metafisico, il poeta superuomo dell'avvenire, che egli inserisce nel gran rettangolo di Piazza Ariostea al posto della colonna con la statua del poeta.

Da qui la nascita delle opere più caratterizzanti la sua ricerca metafisica Il Trovatore, Ettore e Andromaca e, un anno dopo, Le Muse inquietanti. E Carlo Carrà assiste con molto interesse alla trasformazione nietzschiana di de Chirico che individua nella "terribile aridità dello spirito ebreo" e nella "rigida struttura del sistema israelitico" una prefigurazione della nudezza espressiva e della rappresentazione spettrale della realtà cercata nell'arte metafisica. La tradizione biblica lo attraeva per le stesse ragioni per cui piaceva a Nietzsche: era intrinseca nella tradizione occidentale, persino costitutiva di tale tradizione, pur conservando i propri misteri, i propri punti oscuri e un fascino mediorientale. E Carlo Carrà coglie proprio questo specifico aspetto: l'accostamento tra il ghetto di Ferrara e un'antica Età Negra è testimone del ruolo che rivestiva l'ebraicità nell'estetica metafisica in quel periodo. Si trattava di un primitivismo più vicino, posto al servizio dell'estetica modernista. Il gentiluomo briaco, Il cavaliere dello spirito occidentale, Penelope, L'ovale delle apparizioni, Il figlio del costruttore, Il dio ermafrodito sono dipinti che riflettono la proficua ricerca pittorica di Carlo Carrà accanto a quella di un giovane scrittore e pittore Filippo de Pisis (della nobile casata dei Tibertelli de Pisis, Ferrara 1896-Brugherio 1956) che, affascinato da questa nuova visione della realtà, tenta di riprodurre a partire dagli anni Venti gli interni e le nature morte della metafisica dechirichiana.

Carlo Carrà, Il dio ermafrodito, 1917Carlo Carrà, Il dio ermafrodito, 1917

La mostra. Magistralmente allestita negli spazi espositivi di Palazzo dei Diamanti a Ferrara, la mostra De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie è stata organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalla Staatsgalerie Stuttgart e curata dagli storici Paolo Baldacci e Gerd Roos. Raccoglie circa 80 opere provenienti da musei internazionali e da collezioni private, realizzate da Giorgio de Chirico tra il 1915 e il 1918 a Ferrara e da Carlo Carrà proprio a Villa Seminario, da Giorgio Morandi e Filippo de Pisis negli anni Venti, e da grandi artisti delle avanguardie europee, da René Magritte a Salvador Dalí fino a Max Ernst, affascinati dallo stile di de Chirico, che intendeva rappresentare appunto la realtà oltre la sua mera apparenza fisica.

Al visitatore ogni sala offre una vera e propria esperienza estetica, unica nel suo genere, straordinaria per l'eccezionale compresenza di opere che a distanza di un secolo si sono ritrovate e, come avrebbe affermato Giorgio de Chirico, hanno ripreso a dialogare. È un dialogo lungo e commovente, intuito dai numerosi visitatori che in silenzio ammirano le belle tele metafisiche e i preziosi disegni attentamente valorizzati all'interno delle sale. Un ritrovarsi desiderato e sognato per tanto tempo, un dialogo mai interrotto, lasciato "in pausa" in attesa di comprensione, di cura e di autentico coinvolgimento.

E gli "Interni metafisici" perdono il loro carattere clustrofibico per regalare all'osservatore un approdo sicuro alle proprie riflessioni (La malinconia della partenza, Il sogno di Tobia), gli assemblaggi di strumenti di misurazione e le prospettive sghembe diventano emblema del complesso groviglio della nostra realtà socio-politica e i manichini incarnano in modo drammatico il destino dell'uomo-poeta che, consapevole dell'illogicità che lo circonda, riflette filosoficamente sulla realtà scandagliandone le abissali profondità del senso.

L'irruzione del vero naturale in un sistema iconografico che è quanto di più astratto e irreale si possa concepire per una pittura che si serve comunque di immagini meticolosamente riprodotte diventa una delle caratteristiche dominanti della metafisica ferrarese (I progetti della fanciulla, Pesci sacri). Biscotti, pani "biscornuti", cioccolatini avvolti in stagnole colorate e pezzi di dolci geologicamente stratificati, sugheri e attrezzi per la pesca, legni e venature degni di un trompe l'oeil fiammingo esibiscono un'insospettata perizia pittorica iperrealista (Natura morta evangelica I, Natura morta evangelica II, La rivelazione del solitario, Il rimpianto, La nostalgia dell'ingegnere, Interno metafisico, Il saluto dell'amico lontano, Composizione metafisica, Il linguaggio del bambino, Natura morta con salame). Il contrasto tra reale e irreale è costantemente riproposto dai "quadri nel quadro" che presentano non più situazioni oniriche di parigina memoria ma rappresentazioni di cose reali e di edifici veri, il Castello Estense e le officine della città (Interno metafisico con officina, Interno metafisico con sanatorio, Interno metafisico con faro, Interno metafisico con alberi e cascata).
Pablo Picasso, René Magritte, Salvador Dalì e Man Ray da un lato e Georg Grosz, Max Ernst, Le Courbusier, Amadédée Ozenfant e Alexander Kanoldt dall'altro svilupperanno rispettivamente le loro ricerche artistiche e le loro sperimentazioni tecniche proprio dal modello dechirichiano.

Ma travolgente sopra a tutto, all'originalità della composizione e all'originarietà del contenuto simbolico, rimane il dipinto Ettore e Andromaca, realizzato a seguito del tragico evento militare della disfatta di Caporetto, avvenuto il 24 ottobre del 1917, e la disastrosa ritirata verso la linea del Piave del 12 novembre successivo. L'emergenza rendeva sempre più difficile evitare la linea del fronte e i nuovi richiamati furono migliaia. Prima di partire i soldati erano soliti

René Magritte, La Condition humaine, 1933René Magritte, La Condition humaine, 1933

farsi ritrarre in uno studio fotografico con la fidanzata o la giovane moglie e de Chirico rappresenta questo ultimo incontro come il mitico commiato di Ettore e Andromaca, cantato da Omero nel Canto VI dell'Iliade e denso di neri presagi. Il luogo e i personaggi sono astratti certo, due quinte un pavimento di legno e due manichini sorretti da impalcature di legno, ma ciò che commuove è il sentimento di cui sono cariche queste figure artificiali le cui teste ovali si sfiorano con infinita tenerezza.

Una riflessione. L'arte di questi giovani ha dimostrato la possibilità di creare nuove dimensioni estetiche anche in condizioni estreme, ha progettato una nuova visione della realtà attraverso lo studio dei testi classici del pensiero occidentale, ha evidenziato il potere critico della conoscenza che apre continuamente vie alternative, divergenti, innovative e straordinariamente in linea con la riflessione europea a loro contemporanea e ha prodotto una serie di opere che sono diventate motivo d'ispirazione e punto di riferimento per molte ricerche artistiche ed estetiche. La formazione classica e filosofica di Giorgio de Chirico e di Alberto Savinio ha conferito, a quello stile che stava nascendo tra le loro mani, un inconfondibile carattere lirico, poetico e speculativo.

Quegli anni tra il 1915 e il 1918 così drammatici per il nostro Paese, e non solo, hanno lasciato, accanto a un'indelebile traccia di sangue, la luce inquietante dell'indagine metafisica: ciò che vediamo non è la realtà, quella vera sta dietro i muri, dietro l'apparenza di quella che abbiamo sempre considerato come realtà, ed è proprio quella nascosta che ciascuno deve cercare per entrare in un dialogo autentico con le cose stesse, rilevandone la pura dignità fenomenologica.

De Chirico a Ferrara
Metafisica e avanguardie
14 novembre 2015 – 28 febbraio 2016
Aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00
Palazzo dei Diamanti, Corso Ercole I d'Este, 21 – 44121 Ferrara
www.palazzodiamanti.it/