È certamente un luogo ancora pieno di ombre e di stantii luoghi comuni.
Parliamo dell'istituzione museale. Nostrana ma, certamente, anche nazionale.
Al museo la società riconosce il ruolo di raccontare, con strumenti che gli sono propri, chi siamo, le nostre aspirazioni non solo culturali ma di vita, le proiezioni del futuro.
Eppure il luogo culturale per antonomasia – la casa delle Muse – è capace di scatenare ancora fraintendimenti gravi, distanze difficilmente colmabili, barricate.

Bambi Lazzati tuona letteralmente: "La cosa è inammissibile! Siamo in un Castello, nel Museo d'Arte Contemporanea di Varese! Non c'è rispetto, non solo per le opere d'arte e per la funzione museale, ma anche e soprattutto per i fruitori che pagano correttamente il biglietto d'ingresso per godersi la mostra e il Castello in modo giusto e dignitoso! Non c'è rispetto per il lavoro degli altri, per chi ha costruito la mostra, per le opere stesse! Tutto ciò è inammissibile (…). Mi dicono che lì realizzano feste di compleanno per bambini dove mangiano, bevono, scorrazzano".

Bene ha fatto allora chi, nelle recenti ore, ha colto

l'occasione per avviare una riflessione sul significato e la gestione degli spazi museali. Anche se su queste ultime questioni credevamo – evidentemente a torto – che un'abituale e sana frequentazione di spazi culturali avesse cementato, nel pubblico generale, convinzioni decisamente più aggiornate e abbattuto visioni da ancien régime. Ma tant'è.

A noi piace pensare ad un Museo che sia un po' meno "monte Olimpo" e un po' più campo aperto, un po' meno anticamera salottiera dell'Accademia e un po' più circuito pronto al coinvolgimento e alla narrazione. Meno riverenza e più possibilità di sporcarsi le mani. Ci piace pensare al museo non come un luna park ma come luogo di edutainmentPersonalmente sono convinta che si impara di più disegnando, domandando, ridendo ed esaltandosi davanti alle opere piuttosto che nel sottoscala della didattica.

Purtroppo – davvero purtroppo – chi scrive non è più così giovane da aver festeggiato un compleanno in museo.
Ma oggi nei musei si mangia, ci s'incontra, si discute, si fa attività fisica e si fa anche la maglia (il kniting corner di Palazzo Madama a Torino e del MAXXI di Roma hanno fatto, e fanno ancora, scuola. Ma possiamo citare anche i più vicini casi del Museo del ‘900 e del Museo Diocesano). Il personale specializzato del Museo ha il compito, oltre che il diritto, di garantire sicurezza e conservazione delle opere d'arte.
Il museo è un mezzo e non un fine. Come le mostre, del resto.

Il nuovo statuto dell'ICOM, redatto nel 1989, ribadisce che il museo è un'istituzione permanente al servizio della società e del suo sviluppo. Tradotto: il museo non è una dispensa da tenere sotto chiave. E dalla fine degli anni '80, la didattica museale, in fatto di professionalità, specifiche competenze, sviluppo e confronto su scala europea, ha fatto tanta strada.

In tempi a noi più vicini, Pietro C. Marani e Rosanna Pavoni hanno sostenuto: "Le collezioni sono imprescindibili per un museo e per i suoi fini educativi, ma da sole non bastano. Devono essere sostenute e giustificate da un progetto che sia in grado di

organizzarle in un percorso logico e comprensibile". A tutti.
A noi piace pensare ai musei come a luoghi dove non si debbano negoziare spazi e tempi. Ma dove ci sia tanto posto per tutti. E dove si possano misurare e palesare le professionalità e la preparazione di quanti ci lavorano quotidianamente. Il pensiero è rivolto ai tanti volontari, ai dipendenti ma soprattutto ai professionisti della didattica (che non si improvvisa!), cui vanno riconosciute competenze e responsabilità.

Mi permetto di aggiungere una postilla di chiusura alla nota pubblicata ieri dal Comune di Varese: "Musei e bambini. Una convivenza – per noi – felice". Non è la modernità ad imporre l'ottica di apertura totale e di ricerca di nuovi pubblici. È semplicemente il buon senso.

Tornando a casa nostra, una domanda a questo punto è lecita: prima di gridare allo scandalo, poteva bastare informarsi meglio sui tempi dei laboratori didattici di Masnago, sulle tempistiche di riordino e organizzazione dei materiali? E soprattutto sulle modalità di accompagnamento del pubblico dei giovani e giovanissimi che viene sistematicamente guidato in ogni momento e in ogni attività da personale specializzato? E ancora: poteva bastare assistere o partecipare a qualche iniziativa didattica per constatare che "l'acerbo pubblico" non viene lasciato scorrazzare per le sale del Castello brandendo chissà quale arma letale?
Il rispetto delle opere, in fondo, è parte integrante del progetto educativo in Museo. O in qualsiasi piazza e strada delle nostre città.