E' un libro che si focalizza su di un tema di stringente attualità per la città di Varese, che intreccia la ricerca storica alle ultime vicende che l'hanno fatta da padrona sulle pagine della stampa locale.

Varese 1910, Via Umberto I, oggi via Medaglie d'Oro. Un lungo viale segnato dalle rotaie del tram, a destra una fila di alberi. In fondo si scorge la Caserma Garibaldi, con il portone aperto. E' questa l'immagine di copertina del volume "La caserma Garibaldi di Varese" (Pietro Macchione editore), scritto da Giovanni Zappalà, poeta e scrittre varesino, che ha voluto in questo modo lasciare un segno del suo amore per un luogo della storia di Varese e della sua infanzia.

Com'è nata l'idea di questo volume?
E' la mia innata sensibilità che spesso mi fa percepire il linguaggio muto delle cose. Avevo solo sedici anni quando, con profondo rammarico, nel '53 assistetti alla demolizione del bellissimo ‘Teatro Sociale' e poco più di venti, con la stessa sensazione, a quella dello storico palazzo barocco Romanò in piazza Monte Grappa nel '60. Avrei voluto impedire quello che si stava compiendo, scriverne almeno, se la mia giovane età non me lo avesse impedito, in speciale modo riguardo al primo, di cui la città oggi, con molto ritardo, ne rimpiange la mancanza.
Così ora, in questo particolare e confuso periodo sociale, mi è parso giusto scrivere per la conservazione della caserma Garibaldi, schierandomi contro il suo anche parziale abbattimento. E quale occasione, se non questa, parlare della sua storia?
Essa è un ‘unicum' per la nostra città.
E' la più grande costruzione militare dell'Ottocento di tutta la provincia nella sua intera realizzazione, quindi unica e irripetibile.
UNICA, INTERA, IRRIPETIBILE sono le caratteristiche che contraddistinguono un'opera d'arte e i motivi dei vincoli della Soprintendenza a cui se ne aggiunge uno comunale che tutela le costruzioni ante ‘34 che vengono considerate storiche.

Il libro racconta con dovizia di particolari la storia della caserma Garibaldi. Può ripercorrere le tappe fondamentali?
Fu il primo sindaco di Varese, l'ingegnere Carlo Carcano (12 febbraio 1860), ultimo podestà con gli austriaci, a sentirne la necessità allorquando scacciati gli occupanti nel '59, la città di Varese, 'borgo' fino al 14 giugno 1816 ed elevata al nuovo rango da Francesco I d'Austria, fu, da Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia, scelta quale sede di un battaglione di fanteria ed uno di cavalleria nonché dei relativi depositi di armi e riparo per gli animali, di ciò insomma che necessitava all'insediamento militare. La città allora aveva bisogno di notevoli interventi:
La tombinatura del torrente Vellone divenuto, nella quasi totale assenza di fognature, discarica di liquami, di scarti delle lavorazioni di molti artigiani e che, durante le macellazioni, effettuate presso gli stessi negozi di vendita delle carni, si tingeva di rosso; la ristrutturazione e ampliamento del cimitero comunale in condizioni critiche nel desiderio diventasse monumentale; il generale ricupero igienico sanitario dell'intero territorio per contrastare il colera che a successive ondate mortali invadeva l'intera penisola.
Quando nel 1851 Francesco Giuseppe d'Austria visitò Varese venne ospitato nella caserma comunale ricavata dall'antica dimora Griffi in località ‘via per Milano', a lui venne intitolata, poi mutato in ‘Giuseppe Garibaldi'da Vittorio Emanuele II.
Si rese così necessaria la costruzione di un nuovo e più capiente stabile adatto ad ospitare 500/600 unità e il ‘prato del quartiere' sembrò a tutti la località più adatta.
Si trattava di un terreno comunale, incolto, posto subito fuori del centro abitato, ai cui limiti sorgeva la caserma Garibaldi (ex Griffi), che veniva utilizzato come area di parcheggio del bestiame in attesa di essere portato al mercato della Motta divenuto, per mancanza di acque, una zona insalubre e maleodorante.
La nuova richiesta poteva costituire una notevole possibilità di sviluppo per tutta l'amministrazione comunale pensando anche ad una nuova piazza del mercato.
Ne conseguì una crescente valorizzazione dei terreni limitrofi suscitando il consenso dei commercianti varesini.
Il nuovo impegno amministrativo sfociò in una animata discussione comunale che terminò con le dimissioni del sindaco.(11 maggio 1861)
La commissione nominata il 1° giugno esaminò il progetto dell'architetto Isidoro Spinelli che ridimensionando al ribasso il progetto della caserma, eliminando l'intervento sul prato e la demolizione di quella comunale, ottenne subito l'incarico per la costruzione che, con alterne vicende, proseguì con la rinomina del Carcano ( 9 apr. 1863-30 ott.1866) e il secondo sindaco Francesco Magatti (13 nov.1866).
Questi intervenne anche sul prato comunale che divenne la nuova piazza mercato. L'intervento ottenne successo tanto che oltre alle parate militari venne utilizzata come area per le feste pubbliche che il ‘gentile passeggio'.
La nuova caserma fu poi anche utilizzata come ospedale per colerosi, ammirevole e moderno esempio di multifunzionalità delle strutture.
E' utile ricordare che da quelle mura uscirono molti soldati, sottufficiali e ufficiali impiegati nella prima guerra mondiale e come ultimi i gloriosi ragazzi del '99.
Così come si ripeté per il secondo conflitto mondiale dove senza ritorno persero la vita coloro che, sconfitti, ritornarono decimati dalla Russia, dall'Africa, i pochissimi da Cefalonia e da altri Paesi belligeranti.
Alcuni si schierarono con il maresciallo Alexander durante la guerra di liberazione.
Quando il 12 settembre 1943 fu occupata dai tedeschi nascostamente da lì uscirono vettovaglie per i militari di San Martino in Valcuvia, sopraffatti e trucidati dai tedeschi nella battaglia del 13/15 novembre, sui quali si scrisse molta letteratura.
Dopo la liberazione fu sede staccata del glorioso 67° Reggimento Fanteria Legnano
e rimase caserma fino al 1970. In seguito venne utilizzata come deposito militare.
Il 20 marzo 2003 la ‘Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici' la definì ‘un significativo esempio di architettura militare' riconoscendole un inequivocabile interesse storico ponendo così un pesante vincolo per la sua conservazione.
Nel 2007, già indebolita alle fondamenta per la costruzione dell'autosilo nel '92 senza osservare le distanze di rispetto, venne acquistata dal comune di Varese.
Riguardo alla caserma c'è chi la vuole totalmente abbattere giudicandola "una schifezza" e chi invece vuole restaurarla e farla rinascere. Lei cosa ne pensa?
Ricorrendo ad una massima di Voltaire 'non credo a quello che dici ma mi batterò per tutta la vita perché tu lo possa dire' rispetto tutte le opinioni degli altri.
Quello che non sopporto è l'incontinenza delle parole.
Il linguaggio improprio di chi cerca consensi attraverso mezzi mediatici per chi ha la possibilità di poterlo fare.
Dobbiamo loro ricordare che in primis si offende la Soprintendenza che penso sia costituita da persone preparate, istruite e consapevoli, oltre coloro che conoscendone la storia ed il valore si esprimono per la conservazione del manufatto.
Nel mio libro ho indicato molti impieghi come ho visto realizzato in altre città traendone benefici e lustro. Alcuni esempi: Comando delle Polizia Municipale, distaccamento della Polizia di Stato, sede per la Protezione Civile, Centro di convegni, sede per Associazioni Culturali sempre in cerca di ospitalità, mostre, concerti, spazi di ascolto di musica, pronto intervento e ancora altro. Non dimentichiamo che l'Accademia di Brera aveva avanzato la richiesta per allestirvi una pinacoteca, idea ammirevole anche per quanto le opere giacenti presso nei depositi dei nostri musei, non visibili e quindi come fossero inesistenti.

Sulla riqualificazione della piazza della Repubblica inoltre lei nel volume lancia una sua proposta, può illustrarcela?
Elaborando alcuni parametri quali la vivibilità, la notevole grandezza dell'area, la riabilitazione dell'egregia opera del Butti, unico complesso bronzeo di grandi dimensioni della città, sono giunto ad una soluzione che ho raffigurato in uno studio pubblicato recentemente su un quotidiano varesino, riscuotendo inaspettatamente un lusinghiero successo. Naturalmente si può ulteriormente elaborare, ma forse è l'idea che è piaciuta. Ho suddiviso la grande superficie in due aree. Una destinata al ricordo dei caduti, come una città riconoscente dovrebbe avere, completandola con panchine in cemento, quindi non asportabili. Nel progetto ho previsto il ripristino della scalinata che, una volta in marmo bianco, portava ai piedi del monumento facendone parte integrante, conservando il già costruito.
Un intervento quindi non demolitorio.
Le due aree sono divise da una quinta di archi in armonia con quelli della facciata del centro commerciale e, più avanti, con quelli di piazza Monte Grappa.
La seconda provvista di sedie, palco, schermo, impianto di divulgazione acustica, propone un ‘open space' che può essere diversamente utilizzato quali feste, interventi culturali, incontri musicali, sfilate di moda, proiezioni di film o di avvenimenti sportivi e avvenimenti cittadini.
Una mirata illuminazione proporrà questa area a divenire un polo di attrazione, la movida della città, senza intervenire sulle rampe di accesso e di uscita dell'autosilo che ne pregiudicherebbero l'impiego per un periodo indefinito, come ho notato proporre in taluni progetti in cui il tempo di divieto d'uso sarebbe deleterio per i negozianti che ancora esercitano nel centro commerciale (alcuni dei quali hanno cessato l'attività), del vicino teatro, che per l'intera comunità.
Il costo di realizzazione dell'intero intervento dovrebbe risultare molto contenuto in quanto la volumetria dei manufatti sono ridotti e di facile realizzazione.