Quattro artisti, quattro visioni dello spazio tanto differenti quanto complementari: la collettiva di Chris Gilmour, Roberta Savelli, Sergi Barnils e Robert Pan che ha preso luogo al 29 di Corso Venezia a partire dal 9 Aprile scorso, prende forma da una visione d'insieme estremamente decontestualizzante nella sua eterogeneità.

L'ironia si mostra infatti con evidenza anche allo sguardo del passante distratto che, incrociando la vetrata d'ingresso della galleria, non potrà fare a meno di fermarsi incuriosito alla vista dello spettacolare lampadario rococò che pende dal soffitto… interamente di cartone. Autore: Chris Gilmour; il giovane artista di origine anglosassone, che dell'accostameno improbabile ha fatto il suo cavallo di battaglia, pensa e opera con il materiale povero per eccellenza, la carta, spesso supporto o materiale d' imballaggio più che mezzo per realizzare il nobile atto della creazione artistica. Il tutto in chiave decisamente neo-Dada tramite la creazione di oggetti entrati a far parte dell'uso comune ma in tale contesto inutilizzabili: una sedia a dondolo di cartone, per quanto possa approcciarsi alla nostra mente in maniera familiare, denuncia tutta la sua fragilità nel momento in cui l'osservatore realizza che sarà impossibilità di farne uso.

Per questo motivo, al di là dell'aspetto ludico, d'impatto spensieratamente "Pop" di queste creazioni, credo personalmente anche in una rivisitazione più profonda e in un certo senso pessimistica del fine e della funzione di un'opera d'arte, estendibile addirittura allo scopo di qualsiasi azione umana:
fondamentalmente una denuncia, all'interno del perenne dilemma tra realtà e sogno/finzione, della loro impotenza. Unica superstite, la "Bellezza della Creazione" in versione anacronisticamente anti-utilitaristica e in un tempo ormai sospeso, plasmata solo dalla paziente dedizione del moderno artigiano. Proprio in tal senso è opportuno sottolineare un altro aspetto della poetica di Gilmour: egli intende tornare alle origini del fare, la manualità è rivendicata come conditio sine qua non di ogni agire

artistico, una manualità che si misura in primo luogo proprio nella piena conoscenza degli strumenti e della confidenza con i materiali -cartone e cartoncino; le sue opere sono sempre figlie di una estrema sapienza tecnica, ai limiti del virtuosismo. Imprescindibile inoltre il richiamo ai grandi della Pop e dell'Iperrealismo degli ultimi 50 anni, dagli oggetti di Oldemburg alle sagome di Marisol, dai "brand" sfacciatamente immortali di Wharol ai malinconici manichini di Segal.

Le candide adolescenti (Tween) di Roberta Savelli ora lasciano spazio, esclusivamente per questa occasione, a un inedito prototipo di carta da parati; la sua peculiare linea rossa disegna figure nella sequenza delle posizioni yoga del Saluto al Sole creando un fondale che trasforma completamente lo spazio della galleria, come se casualmente volando decidesse di aderire proprio alle sue pareti. Un piacevole spunto per concepire in maniera alternativa il consueto "bianco-biacca" delle pareti domestiche.

Robert Pan e Sergi Barnils propongono invece un approccio più tradizionale al concetto di allestimento, tramite opere parietali.

Nel primo caso l'armonia di forme e colori che ci cattura tramite la lucentezza e l'irregolarità del supporto è attribuibile al paziente lavoro, quasi maieutico, di Robert Pan il quale plasma l'oggetto -a metà strada tra scultura e pittura- per sovrapposizione di strati: un progressivo accumulo di resine e pigmenti, per poi permette a questa texture dal sapore primordiale di emergere attraverso operazioni di scavo e bruciatura, fino a svelare accostamenti formali e coloristici sommersi, cristallizzati sotto la patina lucente della resina. "L'impressione finale" come ha affermato Ivan Quaroni "è molto simile a una mappa stellare, a un'immagine spettrografica della volta celeste che ci restituisce la meravigliosa visione di un mondo in permanente espansione e contrazione, come un gigantesco organismo vivente composto di trilioni di galassie e buchi neri". Macrocosmo e microcosmo sono messi a confronto, riproducendo la

compagine dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo: lontananze siderali osservate dal telescopio e ingrandimenti al microscopio, galassie incandescenti e cerebrali fosfeni. Entrambi i poli danno comunque l'impressione di essere intimamente sottesi ai meccanismi che originano la vita stessa e forse, soprattutto, connessi alla natura stessa dell'individuo e ai suoi rapporti con l'universo circostante. Tramite analogia ognuno di noi potrà quindi individuare dentro di sé costrutti e strutture che riecheggiano quelle del mondo materiale, della fisica quantistica, dove gli scienziati cercano la particella di Dio.

Infine le geometrie di Sergi Barnils vengono indelebilmente incise sopra un impasto di pigmenti e cera, a mo' di attualissimi codici rupestri. Definito a ragione da Luca Beatrice "pittore equatoriale", nella sua poetica si intersecano espressione fisico-gestuale e sapori mediterranei: l'abbandono sistematico al gesto, impulsivo ma al contempo forte di un innato equilibrio, permette alla sua pittura di condensare in un'unica sinfonia colore, linea e intimo lirismo.

Il formalismo astratto del segno, certamente debitore sia delle Avanguardie (sono presenti evidenti riferimenti all'opera di Klee, Mirò, Leppien, Kandinskji, Picasso…) che delle più recenti correnti pittoriche che hanno caratterizzato i nostri anni Settanta e Ottanta, si mescola con una caratteristica tutta ispanica (nasce in Africa ma è spagnolo d'adozione, catalano per la precisione), quella di trattare il dipinto come superficie murale, ove il colore si stratifica e si cristallizza tramite la tecnica dell'encausto -l'utilizzo della bruciatura come fissativo del colore.

Ugualmente suggestivo ed emotivo, per nulla asettico, il suo rigore geometrico ci stupisce rimanendo in bilico tra la memoria delle categorie artistiche e la scelta irrituale -rispetto alle premesse- del racconto complesso e introspettivo del Sé.

Elisabetta Ghiringhelli

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