L’ultimo lavoro realizzato nel Tribunale di Varese è solo una delle tante opere compiute in giro per il mondo da colui che ama definirsi un artista di arte contemporanea. Ma sempre con uno sguardo sull’antico…

Andrea Ravo Mattoni stupisce, incanta e suscita la domanda: “Ma come ha fatto?”. Quell’opera infatti, spesso di grandi dimensioni, che sembra un dipinto in realtà è stata realizzata con la bomboletta. E così pensi a figure contemporanee o astratte ma le sorprese non finiscono qui poiché si tratta di copie di opere classiche.

Cerchiamo di capire la genesi di questa inedita sintesi proprio dalle parole di Andrea: “Ho iniziato a disegnare quand’ero molto piccolo, essendo molto stimolato poiché sono nato in una famiglia di artisti: mio padre Carlo Mattoni, era un grafico e illustratore, artista di arte comportamentale e concettuale, mio nonno Giovanni Italo, pittore e illustratore della figure Liebig e Lavazza e mio zio Alberto è anche lui un illustratore e pittore. Nel 1995, a quattordici anni, inizio ad appassionarmi ai graffiti, compro le mie prime bombolette faccio writing fino al 2000. Successivamente frequento Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. In quel frangente mi appassiono di pittura classica su olio ma anche su acrilico e sperimento diverse tecniche esecutive.

Poi, nel 2016 rimetto insieme questi due tasselli: il mondo delle bombolette spray che avevo parzialmente abbandonato e il mondo della pittura che avevo affrontato durante l’Accademia e così nasce il progetto del recupero del classicismo nel contemporaneo con la realizzazione del primo muro “La Cattura di Cristo” alla rotonda dell’Iper. Porto avanti la tradizione della copia, traduco questi grandi del passato – con formati e media completamente differenti- li riporto sulla strada, accendo i riflettori sull’arte antica e la metto in correlazione col territorio e affronto anche la questione dell’educazione facendo lezioni in strada alle scuole. Il momento di svolta mediatico è proprio l’ aprile 2016 quando, dopo comunque quindici anni di lavoro, i riflettori si accendono su di me e spero rimarranno accesi per tanto. Questa mia traduzione della copia è inedita: a livello di tecnica sono i primo che ha approcciato in questa maniera. Tanti si sono ispirati al classico ma nessuno a queste grandezze ci ha mai pensato. Io sono arrivato alla sintesi per cui la traduzione e la copia hanno più potenza e impatto dell’interpretazione: per me è più contemporaneo questo metodo.

La bomboletta è un mezzo come un altro, una tecnica come un’altra che magari io ho portato a un livello successivo che non era mai stato esplorato, in cui imito l’olio e la grande pittura classica spaziando dal 1000 al 1800. L’approccio tecnico è però completamente differente: i colori della bombolette non si possono sovrapporre e non si può mai toccare la superficie. La pressione del dito – cap control – crea le varie grandezze e tonalità ed è quello che fa la differenza. Utilizzo un marrone di fondo come facevano i classici, le proporzioni sono ottenute con la quadrettatura di un foglio che viene riportata sul muro con un reticolato, su cui creo la traccia e poi passo al colore, la parte più difficile. Per la conservazione, garantita per 30 o 40 anni, è fondamentale la condizione del muro: il fondo deve essere solido, io uso un marrone acrilsilossanico di fondo e se necessario un aggrappante, poi utilizzo lo spray e un protettivo per il sole.

Mi arrivano proposte da tutto il mondo e si tratta di progetti di arte pubblica in cui io scelgo un soggetto che abbia sempre una correlazione col territorio: si tratta di privati o di istituzioni pubbliche o musei come il Louvre, il castello di Amboise, il museo di Belle Arti di Bruxelles, i Musei Vaticani, i musei di Bassano del Grappa e di Varallo Sesia.
Adesso ho progetti in Francia e Germania. Ho lavorato quattro volte con il Louvre: all’università di Nanterre, ho fatto una performance ai Giardini delle Tuileries e all’interno del Louvre e alla metropolitana del Palais Royal di fronte al Louvre. Adesso lavorerò molto nella zona di Varese: a Gemonio, all’Ospedale del Circolo, decorerò il muro del carcere e ancora il Tribunale oltre al lavoro appena concluso. Sto lavorando con il Museo Diocesano di Milano ma il mio sogno è quello di collaborare con il Castello di Masnago e di riprodurre la Tamar di Giuda di Hayez! Per il 2020 sono occupato ma nel 2021 chissà…”

Cristina Pesaro