Stefano CrespiStefano Crespi

Stefano Crespi non è solo uno studioso d'arte appassionato di Varlin e uno scrupoloso e serio indagatore di vite d'artista. E' soprattutto un personaggio senza tempo, un interlocutore coltissimo che camuffa la sua intelligenza sotto la bonaria umanità con cui accondiscende, malgrado le personali usanze, alla petulanza del giornalista frettoloso, perennemente in corsa verso informazioni spicciole. Anche se non ama "navigare" e teme il fuggevole contatto con la parola che scorre muta sullo schermo, corrisponde con grande umanità alla richiesta di far luce sul libro "L'uomo si ammala quando l'occhio si annoia", una raccolta di scritti di Varlin appena pubblicata per i tipi fiorentini di "Le Lettere". Curata da Patrizia Guggenheim e Tobias Eichelberg, fa parte della collana Atelier, diretta dallo stesso Crespi, che vanta ormai 16 titoli.

Un ritratto di Willy VarlinUn ritratto di Willy Varlin

Perché Varlin ?
"E' una buona domanda per iniziare il nostro incontro. La risposta entra in un progetto di collana editoriale che da noi è andato perdendosi. Parlo di una collana al margine tra arte e letteratura, tra poesia e pittura. Il nome doveva essere- come poi è stato ed è- Atelier. Un progetto difficile da costruire in Italia. Perché da noi c'è sempre stata separazione tra mondo letterario e mondo artistico. Non c'è tradizione come ad esempio in Francia, dove i grandi poeti erano anche critici d'arte. Pensiamo a Baudelaire, a Bonnefoy. La cultura italiana è invece storicistica anche nell'arte. Ci viene certo offerta una contenutistica storiografica colta, intelligente. Però i critici italiani in genere – come Argan, Barilli, Bonito Oliva- si accostano all'arte e all'artista per situazioni. Così l'artista interessa in quanto è collocabile in una corrente, in un movimento.
Inseguivo dunque questo non facile progetto da tempo. Poi la vita ci dà delle occasioni. A offrirmela furono Firenze e nientemeno che Piero Bigongiari.
Lo ricordo nella penombra della sua casa davanti all'Arno. 'Hai un progetto, un sogno?' mi chiese un giorno. Gli confessai il mio desiderio della collana. Lo condivise subito. Diceva: 'Mi emozionano molto i poeti ma ho scritto più di pittura che di poesia'. E mi mise in contatto con "Le Lettere". Mi fu quindi offerta una sistemazione prestigiosa per questa collana, venuta alla luce nelle stanze della ex Sansoni, con i collaboratori e i nipoti di Giovanni Gentile. Una collana nata per amore, che battezzammo Atelier, poiché l'atelier è uno spazio- tempo del pittore, dell'immaginazione, della sua poetica. Comprende ormai 16 titoli, e, ora, anche questa nuova raccolta di scritti di Varlin, artista elvetico ancora non ben conosciuto, ma che merita di essere annoverato tra i grandi del Novecento. Varlin ha lasciato vari scritti densi di poesia e ironia che ci fanno capire la sua pittura.

Stefano CrespiStefano Crespi

Quali altri titoli comprende la collana Atelier?
"La scrittura degli artisti in genere è sempre originale, ricca di spunti e riflessioni di estremo interesse.
Ricordo le "Confessioni" di De Pisis, convinto di essere più poeta che pittore. Scriveva:'Amo i quadri che non ho dipinto, amo la mia poesia'.
Un libro che ritengo molto importante per la collana-era inedito in Italia- è "Il signor Dudron" di Giorgio De Chirico, che ripropone le memorie dell'artista.
Gli scritti di Mario Botta "Quasi un diario" sono rievocazione di importanti incontri della vita dell' architetto elvetico. Abbiamo inserito nella collana anche gli scritti d'arte del grande e già citato Bonnefoy, "Lo sguardo per iscritto" e "Cieli immensi", le lettere di Nicolas de Stael.
E poi non poteva mancare Giovanni Testori, scrittore, artista, critico, uomo di immensa cultura. Di lui abbiamo "La cenere e il volto", scritti sulla pittura del 900, e "La cenere e la carne", scritti sulla scultura del ‘900.
Testori era un grande. Lo vidi le prime volte in occasione di alcuni viaggi ferroviari sulle traballanti carrozze delle FNM. Lo osservavo senza osare rivolgergli la parola, mentre rileggeva e valutava i propri articoli pubblicati sui giornali. Poi faceva scorrere tutto il giornale, prima di abbandonarlo sui sedili con aria corrucciata. Varlin, con Bacon e Giacometti, fu tra gli artisti più amati da Testori. 


"Corridoio a Bondo""Corridoio a Bondo"

Ci racconta in breve di Varlin?
Varlin non è molto conosciuto ma è un grande artista europeo.
Svizzero di Zurigo, nasce nel 1900 da una importante famiglia della borghesia ebraica, quella dei Guggenheim. Si chiamava infatti Willy Leopold Guggenheim. Per seguire gli studi d'arte lascia Zurigo e comincia a spostarsi. Va a Berlino, poi a Parigi. Qui il mercante di Modigliani, Zsborovski, gli suggerisce di abbandonare il troppo importante cognome per assumere come nome d'arte e de plume quello di Varlin. A Parigi si ferma 12 anni, poi va in Svizzera e inizia a viaggiare assiduamente. Proprio in uno dei tanti viaggi incontra una donna, Franca, la sua futura moglie. Con lei andrà ad abitare a Bondo, nella val Bregaglia, vicino a Giacometti. Trascorre nella località svizzera gli ultimi anni della sua vita, dove si spegne nel 1977. Al suo elogio funebre provvedono Testori, che l'anno precedente gli aveva dedicato la grande rassegna milanese alla Rotonda della Besana, e Durrenmatt.
Varlin, come tutti i grandi artisti, fu più amato dagli scrittori- come Durrenmatt e Max Frisch– che dai colleghi.

Stefano Crespi mentre leggeStefano Crespi mentre legge

Come e di cosa scrive Varlin?
Varlin scrive in tedesco, perché era di Zurigo, e riesce a offrirci una scrittura alta e molto poetica. Ma non ama Zurigo, quella Svizzera pulita e pigra, che non conosce mare e cielo. Non ne ama la cultura da città ricca, astratta e decentrata dall' esistenza. 'E' bello vivere in Svizzera, è bello morire, ma nel frattempo che si fa?' ha scritto Durrenmatt.
Varlin quella cultura la vive, ma la soffre e la rovescia anche attraverso la sua penna carica di ironia. E diventa uno dei grandi artisti di questo non-luogo, in buona compagnia con Klee, con Giacometti.
Gli scritti compresi nel volume comprendono resoconti di viaggi, lettere alla moglie "piene di nulla", aneddoti riguardanti gli amici artisti, come Geiser e Giacometti .
A proposito di quest'ultimo Varlin scrive una pagina storica. E racconta di quando Giacometti prende il taxi che lo porta a Parigi, e poi da Parigi in Val Bregaglia, e al ritorno, non avendo il portafogli, toglie dalla tasca una manciata disordinata di soldi, tra la curiosità e la meraviglia dei compaesani.
Leggendo i suoi scritti si ha anche l'idea della sua pittura. E conosciamo la sequenza dei suoi spostamenti, con gli spartiacque dell' esistenza.

Napoli, coll.priv.Napoli, coll.priv.

Cosa rappresenta per lui l'Italia?
In Italia Varlin trova la vita.L'incontro non avviene però a Firenze, patria italiana della classicità. E' a Napoli, come racconta in uno dei suoi scritti più belli, che Varlin incontra la vita, l'atto della vita , il centro dell'esistenza. In "Viaggio a Napoli", del ‘63, l'artista descrive con entusiasmo "il tocco infallibile delle mani dei napoletani", la gestualità e quella loro spontanea eleganza. Annota: "Non c' è nulla di più grande dell'eleganza di un napoletano che sputa per terra". E ancora: " Camminano come dei senatori, si scambiano i saluti, si abbracciano, si trovano senza portafogli…"
Devo ricordare che il volume degli scritti di Varlin ha avuto la prefazione di Sgarbi, fatta a puro titolo d'amicizia, appena lette le prime bozze, nonostante i suoi tanti impegni. E voglio anche sottolineare la mia stima per Sgarbi. Sgarbi, già autore di saggi splendidi su Varlin e il suo rapporto con l'Italia, è un critico sensibile e speciale. Ha una grande formazione letteraria e si innamora degli artisti, si interessa più alle loro vicende, ai loro scritti, che alla loro collocazione.

Quali caratteristiche sono individuabili negli scritti dell'artista elvetico?
Direi innanzitutto la pittura come totalità di ritratto: la descrizione di un volto, di un edificio, di una persona che si muove nello spazio, tutto in Varlin conduce e riporta alla carne della pittura, al corpo della pittura. Per seconda caratteristica metto la filosofica imperfezione della vita che accade: l'esempio di prima del clochard esprime bene la visione varliniana, il suo sguardo sull'universo umano. Per terza senz'altro l'ironia, la vanitas, l'ironia della ironia. Infine il grigio. Ogni pittore ha un suo colore, il colore di Varlin è il grigio. Il non colore della esistenza.

Varlin, "L'uomo si ammala quando l'occhio si annoia"
Edizioni: Le Lettere, Firenze
Collana "Atelier"
2007
€ 16.50