Un'opera di Antonio DonghiUn'opera di Antonio Donghi

L'imponente scalone che introduce i visitatori alla mostra Anni Trenta- Arti in Italia oltre il fascismo, porta significativamente in sé quelle che a mio parere possono dirsi le due anime di questa bella rassegna fiorentina, magniloquenza e grazia, contrastanti solo in apparenza: ogni artista presente infatti rivela attraverso il proprio lavoro la capacità di rielaborare queste due qualità in maniera personalissima e inedita, in un'epoca densa di stimoli e cambiamenti come quella in Italia tra le due Guerre. Non a caso veniamo immediatamente accolti dal capolavoro di Adolfo Wildt che credo sintetizzi alla perfezione questo concetto: l' "erma" di Arturo Ferrarin (1929) si impone al nostro sguardo con tutta la virilità di cui un ritratto celebrativo può essere capace, nascondendo tuttavia sul retro una presenza impalpabile e misteriosa (forse l'Inconscio? … A voi tutto il piacere dell'interpretazione!) le cui forme, incredibilmente ricavate dallo scavo del busto, non poterono non influenzare le riflessioni anti-scultoree di maestri come Fontana e Martini.

Un'opera di BirolliUn'opera di Birolli

Oltre al Wildt, la rassegna annovera moltissime presenze illustri quali, per esempio, Sironi, Carrà, De Chirico, Rosai, Soffici, Morandi, Marini, De Pisis, Guttuso, Scipione e Donghi, la cui superba Donna al caffè (1931) presta il volto alla mostra: ancora una volta la grazia della figura femminile viene coniugata ad una monumentalità ora quasi rarefatta, iconicamente bloccata in un tempo e in uno spazio talmente indeterminati da sembrare eterni; è l'eternità del tempo in cui è immersa a renderla monumento: essa, chiunque sia, ha alle spalle tutta l'armonia delle madonne quattrocentesche.

Il legame con la tradizione italiana, per l'appunto, pare il motivo conduttore di molte delle opere in mostra anche se mai (è doveroso sottolinearlo) in maniera ottusa, ripetitiva e passatista; inoltre le diverse sezioni (nove in tutto, comprendenti 99 dipinti, 17 sculture e 20 oggetti di design) non mancano di illustrare anche altri aspetti imprescindibili per comprendere l'interpretazione che ogni artista fece del proprio tempo. La pennellata fluida e nervosa di ascendenza espressionista della celebre Piovra di Scipione (1929), del Chirurgo Guglielmo Pasqualino di Guttuso (1987) ad esempio, oppure le tensioni futuriste del Nomade di Pippo Rizzo come quelle cristalline e astratte di Radice o Licini, nella sezione Giovani e "irrealisti": vennero così chiamate quelle nuove leve i cui lavori si discostavano tanto dal dato reale da esser considerati radicalmente in contrasto con le forme più tradizionali promosse dalla linea Novecentista.

Non manca un approfondimento (Artisti in viaggio) sugli Italiens de Paris ed altri che si trasferirono all'estero per brevi o lunghi periodi cercando di entrare in contatto con realtà più sperimentali o dinamiche rispetto a quella nazionale, come quella parigina o newyorkese, da una parte trascinandosi talvolta dietro l'accusa di fuoriuscitismo e dall'altra esportando una poetica tutta nazionale che non mancò di influenzare molti talenti stranieri. La sezione Arte pubblica invita invece a riflettere sul ruolo fondamentale che l'arte ebbe come mezzo di comunicazione, utile alla promozione dell'operato del Regime tramite opere per lo più destinate a spazi aperti e accessibili a tutti, potenziate da una precisa corrispondenza tra scelta iconografica, funzione e identità con i luoghi: municipi, stazioni, uffici postali etc. Committenze come quella di Sironi per lo Scalone d'Onore del Palazzo dell'Arte in occasione della VI Triennale di Milano o di Gino Severini per il Foro Italico, ne sono un esempio significativo. L'altra faccia della medaglia (Contrasti) illustra invece un altro tipo di

Un'opera di WildtUn'opera di Wildt

tensione, quella derivante dall'intolleranza tra una tendenza artistica e l'altra, una fortemente celebrativo-nazionalista e l'altra che si fa cassa di risonanza del disagio nei confronti degli sviluppi di una situazione politica sempre più soffocante e annichilente, come dimostrano le leggi razziali approvate dal Consiglio dei Ministri nel 1938; si intravede l'ombra del razzismo hitleriano che aveva prodotto la famigerata mostra di "arte degenerata" a Monaco, in occasione della quale vennero messe alla berlina e bandite dai musei pubblici opere astrattiste ed espressioniste di alcuni tra i più importanti maestri del Novecento: Mondrian, Dix, Kokoschka, Kandinskiy, Klee e tanti altri.

La rassegna prosegue con un occhio di riguardo anche per il settore del design e delle arti applicate, in cui fa da padrone un principio davvero innovativo, quello della riproducibilità: ambienti ed oggetti di uso quotidiano sono ormai pronti per fare il proprio ingresso in una società ormai di massa e pronta a trasformarsi in società di "consumatori": di idee, di spazi, di oggetti e di immagini; a tal proposito Ambienti delle triennali e Film, forniscono un ulteriore campionario di quelle che erano le risposte a queste nuove esigenze. Troviamo infine un omaggio alla città ospite della mostra, Firenze, che con le sue riviste (Lacerba e La Voce per ricordarne solo alcune) le sue iniziative e i suoi protagonisti seppe coagulare le più eterogenee tendenze artistico-letterarie nella particolarità irripetibile di questa temperie storica, fungendo da cerniera tra la grande tradizione del passato e il nuovo.

È quindi giunto il momento di liberarci da qualsiasi pregiudizio ideologico sia per restituire il giusto valore ad un periodo cruciale della storia dell'arte italiana, sia per godere appieno dei frutti di tanto fervore creativo.