L'Apartheid – Un tema storico estremamente scottante, che finalmente ottiene il risalto che merita anche nel mondo dell'arte, grazie ad una grande mostra che comprende la prima e la più completa raccolta delle immagini che hanno fatto la storia dell'Apartheid.

Ideata dall'ICP International Center of Photography di New York, e curata da Okwui Enwezor, in passato adjunct curator all'ICP e oggi direttore della Haus der Kunst di Monaco, la mostra viene allestita in Italia, al PAC di Milano, dopo il grande successo americano.

La rassegna di fotografie, testimonianze e documenti rappresenta un unicum nel suo genere: frutto di oltre sei anni di ricerche, il progetto raccoglie il lavoro di quasi 70 fotografi, artisti e registi, dimostrando il potere dell'immagine nel documentare eventi drammatici, e la forza dell'arte nel tenerne viva la memoria.

La toccante esposizione presenta materiale di ogni tipo: dal saggio fotografico al reportage, dall'analisi sociale al fotogiornalismo e all'arte, consentendo di registrare e analizzare a tutto tondo l'eredità dell'apartheid e i suoi effetti sulla vita quotidiana in Sud Africa.
Fotografie, opere d'arte, film, video, documenti, poster e periodici: un ricco mosaico di materiali, molti dei quali raramente esposti insieme, documenta uno dei periodi storici più importanti del ventesimo secolo, le sue conseguenze tuttora durature sulla società sudafricana e l'importanza del ruolo di Nelson Mandela.

Tutte queste fotografie, le immagini e le opere esposte nella mostra, sono state accumulate in oltre 60 anni di produzione illustrata e fotografica, costituendo così un racconto sedimentato, un importante bagaglio di memoria storica capace di mostrare le tribolate origini della moderna identità sudafricana.

"La fotografia" dicono gli stessi curatori "ha trasformato il proprio linguaggio da mezzo puramente antropologico a strumento sociale. Ed è questa, quindi, la ragione per cui nessuno ha saputo cogliere la situazione del Sud Africa e della lotta all'apartheid meglio, in modo più critico e incisivo, con una profonda complessità illustrativa e una penetrante introspezione psicologica, di quanto abbiano fatto i fotografi sudafricani".

L'Apartheid, parola olandese composta da "separato" (apart) e "quartiere" (heid), è stata la piattaforma politica del nazionalismo afrikaner prima e dopo la seconda guerra mondiale. Un sistema creato appositamente per promuovere la segregazione razziale e mantenere il potere nelle mani dei bianchi. Nel 1948, dopo la vittoria a sorpresa dell'Afrikaner National Party, l'apartheid è stata introdotta come politica ufficiale dello stato e si è imposta attraverso un'ampia serie di programmi legislativi. Col tempo il sistema dell'apartheid è diventato sempre più spietato e violento nei confronti degli africani e delle altre comunità non bianche. Non ha solo trasformato il moderno significato politico di cittadinanza, ma ha anche inventato una società completamente nuova sia a livello pratico che a livello giuridico: una riorganizzazione delle strutture civili, economiche e politiche che ha coinvolto anche gli aspetti più mondani dell'esistenza, dalla casa al tempo libero, dai trasporti all'istruzione, dal turismo alla religione e ai commerci. L'apartheid ha trasformato le istituzioni mantenendole in vita con l'unico scopo di negare e privare dei propri diritti civili di base africani, meticci e asiatici.

È in questo contesto che nasce la fotografia del Sud Africa così come la conosciamo oggi. La mostra parte dall'idea che la salita al potere del Partito Nazionale Afrikaner e la conseguente introduzione dell'apartheid come suo fondamento legale abbiano modificato la percezione del paese da una realtà puramente coloniale, basata sulla segregazione razziale, a una realtà vivacemente dibattuta, basata su ideali di uguaglianza, democrazia e diritti civili. La fotografia ha colto quasi immediatamente questo cambiamento e ha trasformato il proprio linguaggio da mezzo puramente antropologico a strumento sociale. Questa è la ragione per cui nessuno ha saputo cogliere la situazione del Sud Africa e della lotta all'apartheid meglio, in modo più critico e incisivo, con una profonda complessità illustrativa e una penetrante introspezione psicologica, di quanto abbiano fatto i fotografi sudafricani. Lo scopo della mostra è quello di far conoscere i protagonisti di questo straordinario cambiamento.

Oltre al lavoro dei membri del Drum Magazine negli anni '50, dell'Afrapix Collective degli anni '80 e ai reportage del cosiddetto Bang Bang Club, saranno esposte anche eccezionali opere di fotografi sudafricani all'avanguardia quali Leon Levson, Eli Weinberg, David Goldblatt, Peter Magubane, Alf Khumalo, Jurgen Schadeberg, Sam Nzima, Ernest Cole, George Hallet, Omar Badsha, Gideon Mendel, Paul Weinberg, Kevin Carter, Joao Silva e Greg Marinovich. In mostra anche le opere di una nuova generazione di fotografi sudafricani, tra cui Sabelo Mlangeni e Thabiso Sekgale, che esplorano le conseguenze che ancora oggi l'apartheid produce nel paese.

Insieme a loro anche artisti contemporanei quali Adrian Piper, Sue Williamson, Jo Ractliffe, Jane Alexander, Santu Mofokeng, Guy Tillim, Hans Haacke e un video che raccoglie 10 animazioni di William Kentridge per un totale di quasi un'ora di proiezione.

Rise and fall of Apartheid
Photography and the Bureaucracy of Everyday Life
Dal 9 luglio al 15 settembre 2013
PAC Padiglione d'Arte Contemporanea
Milano, via Palestro 14
Orari: martedì, mercoledì, venerdì, sabato, domenica dalle 9.30 alle 19.30
giovedì dalle 9.30 alle 22.30
lunedì chiuso
ultimo ingresso un'ora prima della chiusura
Info: tel. 02 88446359