Un'opera di Alex PinnaUn'opera di Alex Pinna

Ci osservano in silenzio, le creature antropomorfe create da Alex Pinna, dall'alto di trampolini dai quali i loro sottili arti inferiori pendono nel vuoto. Quel loro silenzio diviene più intenso a fronte delle ombre presenti sul muro della galleria: silenzio nel silenzio. Quei personaggi paiono racchiudere nelle loro fisionomie, l'essenza di un'ingenua moralità infantile, inattaccabile e pura, forse un po' spaesati nel cercare una giusta dimensione nelle due tele dove affrontano la percorrenza di un piano inclinato o come il Piccolo Principe sostano stupefatte dall'ambiente che li circonda.

Non a caso il titolo della personale in corso presso Ermanno Tedeschi Gallery a Milano è Waiting for. E sino a qui siamo nello stupore fiabesco, nella sfera dell'immaginario fantastico, lo scarto con il reale è dato dal connubio fra arte e design, nel momento in cui Alex Pinna propone due sedie, dal tratto essenziale, sorrette da figure che rimandano, se pur in differente misura, alle fisionomie antropomorfe sui trampolini.
Poco discosta, ad altezza naturale, una sagoma in bronzo simile alle precedenti appoggiata alla parete con il volto rivolto a essa esprime tenera timidezza, forse perchè indotta a confrontarsi con un mondo non suo, con un'altra umanità, forse non ancora in grado di accoglierlo senza pregiudizi.

Dopo avere visitato la mostra, abbiamo avuto l'opportunità di incontrare Alex Pinna nel suo studio milanese, al nostro ingresso abbiano avuto l'impressione che le figure antropomorfe create dall'artista, al nostro arrivo, si siano immobilizzate per non svelare la loro reale essenza e in silenziosa staticità hanno atteso il compiersi dell'intervista.

"Osservando il tuo percorso artistico si ha l'impressione che le figure antropomorfe che caratterizzano i tuoi

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ultimi lavori siano frutto di un percorso evolutivo che ha avuto origine da un embrione elaborato da te nel tempo sino a farlo diventare una forma finita".
"Si, vent'anni fa era un embrione, ora lo sento come un adolescente, sicuramente crescendo si è modificato".

"A mio parere si è molto modificato".
"La cosa che vorrei è che fosse cambiato nel corpo ma fosse rimasto lo stesso nello spirito, i motivi sono tanti, io ho iniziato a lavorare sulla cultura infantile perché mi permetteva un maggior dialogo con il pubblico senza la necessità di mettere codici o sovrastrutture al mio lavoro, per cui ho usato iconografie che tutti conoscono, le favole, Pinocchio, i personaggi dei cartoni animati e dei fumetti, per non spaventare gli spettatori".

"Mi hai bruciato la domanda, volevo appunto chiederti della presenza di Topolino, l'omino della Bialetti, un Pinocchio al femminile…"

"La mamma di Pinocchio – specifica sorridendo – Lo scopo era di usarli come metafore per fare poi il mio discorso, in quanto non penso di avere delle verità da rivelare poiché penso che i miei lavori siano più delle domande, piuttosto che delle risposte".

"L'impressione che ho guardando le tue creature antropomorfe è che siano in attesa, cosa aspettano?"
Ride di gusto "Questo me lo dovete dire voi, io potrei dire che sono in attesa, sono in equilibrio, sono precari, purtroppo una condizione che attualmente caratterizza molti lavoratori, in realtà sono un po' tutti degli autoritratti, sono io, un non finito, in realtà lo siamo un po' tutti in mezzo a un guado".

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"Quali sono stati i motivi tecnici, umani e intellettuali che hanno determinato il passaggio dalla superficie piana alla tridimensionalità?"
"Con la pittura si riescono a fare cose che non sono permesse con la scultura, entrambi i linguaggi sono per loro natura bloccati: la pittura nella seconda dimensione, la scultura nella terza, quando si parla di paesaggio, il paesaggio può essere solo pittorico, poi c'è un discorso più intimo, innanzi tutto il mio lavoro parte sempre dal disegno, a volte disegno per giorni, sino a stabilire un collegamento fra testa e mano un po' indipendente da me, come una sorta di mantra, così il disegno va un po' per la sua strada e io lo seguo, poi ci sono gli incidenti di percorso, come un macchia e allora capita che gli si corra dietro e a volte dalla casualità nascono nuove idee, dopo di che abbandono tutto per un po', passato qualche mese riprendo quello che ho fatto vedo quello che mi interessa e a quel punto decido se è meglio affrontare il lavoro come un quadro o come una scultura".

"Ha più forza narrativa un quadro o una scultura?"
"Temo possa essere più narrativo un quadro, perché è costruito da più elementi, parlo ovviamente del mio lavoro; anche una superficie vuota è un racconto".

"Nella mostra in corso presso a Milano hai unito, per la prima volta, alla scultura un oggetto d'uso quotidiano, è un cammino verso il design?"

"Ho constatato che la scultura entra nella vita fisica delle persone, mentre un quadro dopo un po' tende a mimetizzarsi con l'ambiente, contrariamente una scultura resta sempre in mezzo ai piedi ed è per questo che ho pensato di unire una mia scultura ad un oggetto di utilizzo quotidiano come la sedia".

A intervista terminata, prima di uscire dallo studio di Alex Pinna per un caffè, aleggia l'impressione che forse, in quel tranquillo contesto, gli alieni non siano le silenti figure antropomorfe, ma l'artista e chi l'ha intervistato.

Mostra personale di Alex Pinna – "Waiting for"
Milano – Ermanno Tedeschi Gallery,
via Santa Marta 15
Fino al 27 luglio
Orario: da martedì a venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00