Arsago Seprio – Il “Signum” di Claudio Benzoni al battistero. Dal 16 settembre, con inaugurazione alle 16, si apre l’esposizione che propone una piccola parte della recente produzione dell’artista nella quale presenta elementi che conservano solo una vaga apparenza di scrittura. In realtà si tratta di segni che sottraggono la veridicità sia alla scrittura sia al disegno, che regolano la loro compenetrazione in un’identità continuamente variabile, moltiplicabile all’infinito. Le opere esposte sono un’istallazione realizzata su seta e creazioni in marmo o in plexiglas, trasparente e luminoso, inserite all’interno delle otto nicchie ricavate nello spessore della muratura (spazi scarsamente illuminati), in evidente dissonanza con l’antico edificio, deteriorato e appena indicato da piccoli e deboli varchi di luce.
Si presentano come anime erranti, che cercano nel buio la loro libertà. Cercano di mettere in relazione l’esperienza del presente con il passato: rileggere l’arte antica, analizzarne e decostruirne l’essenza e metterla in relazione con le conoscenze e la tecnologia del nostro tempo per immaginare coesistenze future. In queste opere la scrittura, dimentica di qualsiasi comunicazione, non conserva che la sua apparenza, non descrive altro che se stessa, e i segni sono il limite estremo della propria legittimità.

La scelta del luogo, (metà del XII secolo), comporta anche una ri-declinazione del concetto di “antico”, non più coincidente con un altrove ideale e senza tempo, ma re-interpretato alla luce dell’oggi, non più declinato come valore immutabile a cui ancorarsi per contrastare la fluidità del presente, ma piuttosto come sito di cui si accetta e si enfatizza l’incompiutezza e la rovina anche materiale, facendone spazio di rappresentazione, elemento significativo di inediti scenari: un luogo, cioè, di produzione dei linguaggi del presente, oltre che di conservazione del passato, che permette alle opere contemporanee di suggerire l’interrogativo sul valore e sul ruolo che l’essere umano attribuisce al tempo. La poderosa struttura a pianta ottagonale assume in questo modo un ruolo di inclusione e promulgazione culturale, come un “intreccio di misteri” che si rinnovano di continuo nell’ottica di un’interrogazione infinita.

Nelle parole dell’artista: « Sono opere nate da un processo di rottura e contaminazione, che, mentre trasforma il codice del linguaggio fino a mutarlo, porta alla sua riflessione, palesandosi in “segno come scrittura”. Opere non come rappresentazione, ma come ‘ri-presentazione del non visibile’.
“Segni di scritture” che non hanno fine, si somigliano, ma differiscono sempre. Si muovono in uno spazio visivo che non ha un centro, ma infiniti luoghi di elaborazione. In loro ogni tratto è sensibile, si fa cosciente di un ruolo, libero, ma sempre carico di responsabilità: la responsabilità di essere continuamente espressione di qualcosa. Sono simboli, codici, immersi in atmosfere dense e senza tempo, da sempre germinazioni di idee. Segni Ante litteram che percorrono lo spazio dell’opera svelando il pensiero in posizione di anticipo rispetto al codice testuale; possiedono lo smarrimento e la determinazione che sono in ogni atto iniziale di una forma visiva di scrittura o di immagine, tanto da conservare ciò che invece queste nascondono: l’origine. (Molte opere “compiute” ci offrono, infatti, la loro complessità, ma nulla dell’inizio, mentre il segno è l’inizio che non termina, ma si ripete, ricomincia, ritorna ancora e ancora inizia).

Sono segni di memoria e anticipazioni, che non possono definirsi nel presente perché accadono nel tempo: tracce che il passato lascia nel presente per indicare diversi futuri. Sono visioni di processi, accadimenti, che si combinano e continuamente si modificano ed evolvono, associando punti fissi più o meno stabili nella loro dinamica. Si manifestano nella scomposizione o “avvelenamento” della struttura anatomica delle parole fino a distruggerla, per rigenerarla: lettere contaminate, manipolate e ridotte a disegni e codici disarmonici; libri, che da sempre contengono parole, luminosi, sepolti o ingabbiati in strutture trasparenti, inaccessibili, inviolabili, “sacri” al punto di negare il loro utilizzo».

Opere che propongono un punto di equilibrio tra invenzione formale, governo delle tecniche e delle materie, libertà creativa, e di quanto abbiamo ancora voglia di accettare come mistero. Che fanno riflettere, se ci si sofferma a osservarle con attenzione, perché mostrano e rendono manifesto il ‘non visibile’: rivelano la verità che si raggiunge tramite la conoscenza. (dal comunicato della mostra).
L’esposizione proseguirà sino al 1 ottobre. Orari: sabato e domenica 16- 19.