Angela Grimoldi, colei che frequentò Guttuso a Velate nell'adolescenza e nella giovinezza, intuendo la straordinaria occasione che le veniva offerta, per la sua formazione artistica ma non solo, non ne può più. L'hanno chiamata e interrogata televisioni e giornali, non solo locali. Avvoltoi attorno alla salma ventennale del maestro, che ha lasciato nel borgo di Velate non molto, alla fin fine. In Angela, i ricordi almeno, che anche noi cerchiamo di ravvivare.

Chissà, forse per il suo René, ha messo davanti allo studio, ubicato in Velate, dei lumini ardenti. Lo spazio è riempito di dipinti, anche grandi, addossati alla parete, con colori e segni che rammentano la "scuola" di Guttuso.

A 20 anni dalla morte del pittore, qual'è il primo ricordo che ne serba?
Il fatto di fare pittura, farla e basta. Senza farsela "suggerire".

Com'è avvenuto il primo contatto con Guttuso?
Avevo 9 anni, lui veniva a mangiare nel ristorante dei miei genitori. A me piaceva disegnare, mi ha detto di andare a trovarlo. Ho posato per lui, poi studiavo arte e quindi l'estate cercavo  di passarla nel suo studio.

Come lo chiamava? Come si faceva chiamare?
Prima "maestro", poi "Renato", quando il rapporto si è fatto amicizia, negli ultimi tempi "René". Così si è firmato in alcuni miei ritratti…

E' stata sua modella? Allieva? Assistente?
Non saprei…un po' tutte e tre le cose, che hanno costruito il mio percorso artistico. Era un amico, e naturalmente un maestro. La pittura è un mestiere: altro che ispirazione!


Com'è che Guttuso lavorava?

In silenzio, molto concentrato. Molte ore al giorno, fumando sempre.

Che marca di sigarette?

Muratti.

E a tavola?
Come tutti i bevitori, non mangiava molto, ma cose scelte, fresche. Amava molto delle polpettine, ribattezzate "alla Guttuso". Anche la punta di vitello e la pasta e fagioli. Mai vino, soltanto whisky.

Ha voluto "carpire" qualcosa del suo stile?
Mi diceva che i miei colori non sono nordici, ma mediterranei, come i suoi. Nel segno, ognuno ha il suo. Lui passava dalle carezze con il pennello a un certo vigore con il pennino e la china. Se ci metti troppa forza, il pennino si può anche rompere
Detto-fatto: Angela ne prende uno, che salta, sotto la pressione della sua mano. E' una donna forte e decisa nell'espressione artistica, molto tenera e allora ingenua, innamorata del grande pittore che le apriva lo studio e a cui cercò di "rubare", com'è ovvio, il più possibile.

Le ha mai parlato di Varese, dei Varesini?
No. Non è che avesse un vero rapporto con la città. Veniva a Velate, nei mesi estivi, per lavorare. La vita mondana, la lasciava a Roma. Fu per lui una sorpresa, infatti, la cittadinanza onoraria, dalla quale fu molto gratificato. Del resto, le risulta che Varese si interessi dell'arte o degli artisti? Venivano piuttosto a trovarlo da Milano, Busto Arsizio, Gallarate.

Guttuso aveva degli interessi, a parte l'arte?
Nella mia esperienza, che si limita allo studio di Renato, dominava l'arte. Amava la musica, però. Se non fosse stato pittore, avrebbe fatto il tenore.

L'ha mai sentito parlare o dare giudizi su suoi colleghi? Sull'arte del suo tempo?Diceva: "Arte povera…ma che cosa c'è di più povero di un pennello?"

Guttuso a VelateGuttuso a Velate

Com'era lo sguardo di Guttuso? Se dovesse riassumerlo con un aggettivo?
Paterno. Gli piaceva sostenere i giovani, anche materialmente. E non era affatto inavvicinabile, pur avendo un certo filtro attorno.

L'ennesima intervista è conclusa. Angela Grimoldi, nel frattempo raggiunta dalla sorella gemella, è una custode sicura e sensibile della memoria del maestro di Bagheria, che a Velate trovò la pace giusta per lavorare.

Ha scritto anche una tesi per l'Accademia di Brera che affronta la "trilogia dell'amore" (tre grandi lavori allegorici, realizzati a Velate) e comprende una lunga intervista al pittore. Un giorno, da lui invitata a prendere per sè qualsiasi cosa dallo studio, Angela, nel verde di Velate e della giovinezza, nell'ebbrezza dell'estate, portò via un profumo.