Panorama di Cereseto

Cereseto – Chi in questi giorni di “dolce farniente” si spinge nelle terre calme e ben coltivate del Monferrato ad un certo punto del percorso vedrà ergersi, in leggera altura, un castello turrito e imponente, ma anche diverso da quelli che, più o meno in rovina, popolano questa terra. Non ha aspetto bellicoso, da difesa prode, e sembra vigilare sul paesello che gli si addossa con tacita e armonica grandiosità. Il paese si chiama Cereseto – poco più di cinquecento abitanti. Casale è vicina; in lontananza, sul colle, si scorge Crea con suo santuario.
La visione incuriosisce e allora diventa inevitabile deviare e salire per antiche strade fin su per sapere di più di questo maniero che – si apprende – ha una storia non lunga – poco più di cent’anni – mirabolante agli inizi, ma poi, nel giro di appena qualche decennio, divenuta travagliata e tristemente malinconica.

Le mura del castello

A volerlo fu un geniale e ardimentoso imprenditore di Biella, Riccardo Gualino che all’inizio del ‘900 comprò sterminate foreste in Transilvania per ricavarne legname da esportare e che per farlo arrivare fin nelle Americhe fondò la SNIA, allora non industria chimica creatrice del rayon, ma, come dice l’acronimo, Società di Navigazione Italo Americana. Sempre lui aveva poi creato una nuova città nella città di San Pietroburgo, su un’isola a poca distanza dai palazzi dello czar.
Fu proprio questa figura audace e irrequieta insieme con la moglie e cugina Cesarina Gurgo Salice a creare questo castello destinato al loro “otium” e per ricevere gli amici. Alla festa d’inaugurazione, nel giugno del 1912, a Cereseto erano arrivati tutti: gli industriali biellesi – gli Zegna, i Loro Piana e i Lora Totino, i Sella – e quelli torinesi, “in primis” il socio in Fiat e nel giornale “La Stampa” Giovanni

Riccardo e Cesarina Gualino

Agnelli; da Milano il senatore Pirelli e il genero di Enrico Dell’Acqua Borletti che di nome faceva proprio Senatore. E, tra artisti, musicisti, banchieri, nobiltà sabauda, fin Arthur Chamberlain, futuro ministro inglese; tutti ricevuti da Riccardo e Cesarina in abiti del Quattrocento, come se fossero Lorenzo e Clarice de’ Medici.

Il castello val la pena che lo si faccia descrivere dallo stesso Gualino, che fu anche scrittore più che dignitoso. Dunque esso era “un’opera monumentale in stile piemontese-lombardo della fine del quattrocento che si riallaccia al gusto in voga nel Piemonte, nato dal Castello Medievale di Torino. Originale nella disposizione delle sale, delle camere, delle logge e dello scalone, trasse da costruzioni dell’epoca, dai musei e dai numerosi castelli sorgenti sui colli del Piemonte e della Lombardia, i motivi per l’ornamentazione in terracotta delle finestre, per la decorazione interna delle vòlte e delle pareti, per la scultura di mobili e porte”.  La grandiosa impresa, costata l’iradiddio, fu innalzata con la direzione dell’ingegnere Vittorio Tornielli, ma non è difficile immaginare che tante idee a lui provennero dalla Cesarina che con il marito curò poi l’arredo delle centoquarantasette stanze colme all’inverosimile di venerande anticaglie: fondi oro e tele di van Dyck, arazzi, armi e armature, oreficerie e medaglie del Pisanello.

Un salone del castello

Tutto questo mondo di recondite armonie di bellezze diverse vide la fine, drammatica e improvvisa, il 19 gennaio 1931 quando Gualino venne arrestato nella sua altrettanto sontuosa casa di via Galliari a Torino a seguito del fallimento della banca francese Oustric e del tracollo della Banca Agricola Italiana, due fra le altre creature di Gualino. Certamente avvenne anche per codesti crolli finanziari, ma, di più, per l’astio accanito di Mussolini che giunse a definire l’imprenditore “cagliostro dell’economia” e “acrobata dell’industria e della finanza”.

Mandato al confino a Lipari, Gualino scelse poi di vivere a Parigi, ma poi tornò in Italia, tra Portofino, a villa Altachiara prima degli Agusta, al Giullarino sopra Firenze, dove morì nel 1964, e a Roma, risorgendo come fondatore della Lux Film, la casa produttrice di “Senso” di Visconti e di “Riso amaro” con la Magnani.

Quello che non risorse fu il castello di Cereseto dove Riccardo e Cesarina non poterono più entrare essendo stato sequestrato con tutti i loro beni e le loro proprietà. Svuotato dei suoi tesori finiti all’asta o nei musei, fu negli anni dell’abbandono anche saccheggiato. Dal lontano 1931 è rimasto inabitato; le sue imposte sono tutte serrate e le sale un tempo splendenti si possono immaginare ora in malinconica decadenza anche se a vederlo da vicino appare ancora ben saldo nei suoi muri di mattoni rossi sapientemente connessi.

Sembra dormire un sonno ormai troppo lungo, sempre in attesa di rinascere anche se l’atmosfera di magnificenza e di stupore di quando Riccardo e Cesarina Gualino lo aprivano agli ospiti non tornerà mai più.

Giuseppe Pacciarotti