Riportati in luce negli anni ’60 dal noto restauratore varesino Carlo Alberto Lotti i numerosi affreschi di Santo Stefano custodiscono secoli di storia varesina.
Tutto ebbe inizio nel lontano Aprile del 1964 (come forse pochi ricordano), quando a Varese si costituì l’iniziativa «Itinerari», promossa dal restauratore Lotti e dall’architetto Alberto Ferrari.
I due diedero così inizio a un vero e proprio tour de force nel Varesotto volto in primis alla ricerca e alla scoperta di quel vasto patrimonio artistico che andava sempre più diminuendo, per il passare del tempo, ma anche per l’inarrestabile incuria degli uomini.
Fu il rione di Bizzozero, con la sua chiesa di Santo Stefano (e il suo frescante sconosciuto Galdino Da Varese) la loro prima meta (che è per noi la seconda).
La chiesa romanica conserva al suo interno, precisamente nella cappella devozionale dedicata a Santa Maria a destra dell’ingresso principale, un ciclo affrescato risalente al 1498 e riconosciuto, grazie alle targhe dipinte nei sottarchi laterali della cappella, come frutto della collaborazione tra il maestro Galdino da Varese e Giovanni Battista De Prioris.
Sulla parete in corrispondenza dell’ingresso della cappella è dipinta una Madonna del latte (in greco Galaktotrophusa), un’immagine di forte valore devozionale venerata nel XV secolo in tutto il circondario di Bizzozero, ai cui lati un Santo Stefano e una Madonna in trono con bambino, riportati alla luce dal Lotti nel 1964, completano la scena.

Nei sottarchi del ciborio sono dipinti, all’interno di finestrelle rettangolari, i mezzi busti di diciotto sibille e profeti disposti a gruppi di tre facilmente riconoscibili dalle targhette identificative alla base di ogni singola finestrella.

Sulla volta i simboli dei quattro Evangelisti si affiancano ai tondi raffiguranti i quattro massimi Dottori della chiesa (San Girolamo, Sant’Agostino, San Gregorio e Sant’Ambrogio) e, come vuole la tradizione (si pensi alla vicina Rocca di Angera) l’Annunciazione è dipinta sulla fronte dell’arco centrale accompagnata tutt’intorno da angeli musicanti. L’intero ciborio è, infine, decorato da formelle in cotto, largamente diffuse nel XV secolo.

Attribuibile alla mano di Galdino è anche quel che resta di una Madonna in trono con bambino, collocata tra altre pitture devozionali su un muro esterno alla cappella di Santa Maria e gli affreschi scialbati, riscoperti dal Lotti durante i lavori di restauro, dell’abside della chiesa.

Lo studio approfondito condotto sugli affreschi di Galdino da Varese rese possibile anche unadescrizione dettagliata della moda di fine Quattrocento: elegante e aderente alle forme del corpo l’abbigliamento femminile e di valenza simbolica quello maschile. Se per la moda (come anche per le stoffe) Galdino rimase sempre fedele, seppure con qualche variazione, alla realtà, fu nei copricapi e nelle acconciature che diede libero sfogo alla sua fantasia. Eccentrici e stravaganti copricapi – cuffie, balzi, corna, selle, berrette, veli, frenelle, trecce, coazzoni, peducci – difficilmente riconducibili a un modello esistente, ornano le teste di sibille e profeti.

Giulia Lotti