La mostra – che giunge a Legnano dopo la tappa tenutasi lo scorso inverno a Palazzo Collicola di Spoleto e che vede come curatrice Emma Zanella, direttore del MA*GA di Gallarate – presenta 30 grandi opere, appartenenti alle serie più importanti dell’artista casertano, capaci di ripercorrere gli ultimi dieci anni di attività in cui Marrocco, pur privilegiando la pittura, attinge liberamente al disegno, alla fotografia, alla figurazione e all’astrazione.

Domenica 8 ottobre lo stesso artista, docente di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di cui è Direttore, ha guidato i visitatori tra le sale di Palazzo Leone da Perego, dialogando con loro sulla propria produzione artistica e sulla genesi dell’esposizione.
Per quanto concerne lo sviluppo di questa mostra, il dialogo tra Marrocco e Zanella, la curatrice, è durata un anno, un anno e mezzo e ha portato l’artista a non replicare pedissequamente l’allestimento di Spoleto, ma a rinnovarlo: presenti a Legnano, infatti, anche alcune opere terminate di recente. La scelta di aprire, poi, il percorso espositivo con La foresta pietrificata, opera del 2007/2008, è apprezzabile e di grande impatto visivo. Come spiega lo stesso Marrocco il dittico nasce dallo studio del lavoro di Max Ernst ed è esemplificativo di due aspetti primari del suo lavoro: la volontà di catturare la luce e il bisogno di trovare qualcosa di palpabile, di riappropriarsi del proprio corpo. Secondo Marrocco La foresta pietrificata, pur essendo stata esposta anche in un contesto come Palazzo Sternberg a Vienna, trova proprio in un’ampia sala del primo piano di Palazzo Leone da Perego la sua collocazione ideale.

Le altre opere in mostra sono esempi di una pittura che quasi si nega allo spettatore: alcune superfici si mostrano come un vetro smerigliato. Ma come costruisce le sue tele Marrocco? Lo spiega lui stesso con efficacia: la tela è montata sul telaio al contrario. Viene dato un fondo chiaro a cui l’artista aggiunge un colore caldo, di solito il giallo. In seguito vengono aggiunti dei segni grafici, che richiamano alla realtà. Questi vengono negati, ma mai annullati nelle opere dell’artista. In una pittura non narrativa Marrocco procede con una progettualità rigorosa, tagliando riquadri orizzontali, che mantengono una propria autonomia. Il pittore fa poi largo uso di veline, di carte di riso tinte e poi sovrapposte che contribuiscono a dare alle tele un effetto vellutato. Significativa anche la scelta di aprire e chiudere l’esposizione con disegni, con studi preparatori che per Marrocco hanno una dignità artistica.

Con questa esposizione l’artista raggiunge l’obiettivo che si è prefissato: i visitatori si trattengono davanti alle opere di grandi dimensioni che sono un eco del bosco, ma non raffigurano con realismo la natura. E Marrocco che non ama le etichette anni fa disse: “io non sono un pittore astratto, ma nemmeno un figurativo”. Questa mostra ne è un’ulteriore riprova.

Elisabetta fagioli